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Senza rischio c’è il rischio di bloccare la crescita Stampa E-mail
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di Giuseppe Gatti






La COP21 è stata l’occasione per tutte le grandi utility europee per esporre ed enfatizzare la propria collocazione nel contesto del mainstream ormai dominante della transizione energetica, di cui l’Unione Europea si è fatta portabandiera su scala planetaria. È abbastanza impressionante la pressoché totale coincidenza di obiettivi e di strategie indicati dai principali operatori energetici: rinnovabili, infrastrutture (con ovvia sottolineatura per le smart grid), efficienza.


Quello che per oltre un secolo è stato il pilastro fondamentale dell’industria elettrica, la generazione, sembra essere oggi percepito quasi come una palla al piede, da confinare, all’interno di ogni gruppo, in una sorta di bad company di cui è quasi impossibile disfarsi, ma di cui si farebbe volentieri a meno. [...]

A prima vista, questo radicale cambio di strategie può apparire come ovvia, e per certi versi obbligata, risposta alla altrettanto radicale trasformazione del contesto complessivo del mercato energetico e agli indirizzi assunti dai maggiori Paesi europei, con scelte politiche organiche (dall’Energiewende tedesca, all’Energy Act inglese, alla Loi de transition énergétique francese), o più frammentarie e confuse, come nel caso italiano, comunque tutte dello stesso segno. Diamo questo per scontato; e sono semplicemente puerili le contestazioni che pure sono risuonate a Parigi, all’improvviso buonismo ecologico dei giganti dell’energia. Sappiamo benissimo che “non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi”.
A macellaio sostituite Big Oil e la lezione del vecchio Smith conserva tutta la sua attualità. Non siamo ingenui ed il punto è un altro. [...]


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