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IL GIORNALIERO - Riflessioni a margine della COP21 di Parigi Stampa E-mail

1 dicembre 2015 - A pochi giorni dall’avvio dei lavori della COP21, riceviamo in redazione e pubblichiamo questa riflessione del professor Ernesto Pedrocchi, docente di energetica del Politecnico di Milano, che parla fuori dal coro. Come sempre, lo facciamo nello spirito di animare e stimolare un libero dibattito, senza preconcetti e preclusioni.

In questi giorni si assiste sui media a un pressing parossistico sulla necessità di un accordo a larga condivisione e molto vincolante sul contenimento delle emissioni antropiche di CO2. Si prospetta questa come l’ultima occasione per salvare la Terra da una devastazione climatica. In questa campagna mediatica quella che regna sovrana è la disinformazione, è una gara a chi la spara più grossa a favore di un allarmismo senza basi scientifiche.
Non si segnala che le emissioni antropiche di CO2 sono meno del 5 per cento delle totali immissioni in atmosfera e che nella storia degli ultimi millenni del clima non c’è evidenza che l’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera abbia causato aumento della temperatura globale media. Si insiste su CO2 gas serra senza indagarne l’effettiva influenza, che ai livelli attuali di concentrazione in atmosfera è molto limitato (IPCC). Si crea confusione tra clima locale e clima globale, tra inquinanti da combustione (NOx, SOx, incombusti e particolato) e CO2. Non si parla del rallentamento della crescita della temperatura globale media rilevato in questo secolo, mentre si enfatizza il ruolo di eventi estremi che l’IPCC stesso riconosce non rilevabile su scala globale, ma solo, forse, ad aree delimitate.
Si citano a testimonianza i danni da eventi metereologici, senza segnalare che molto spesso sono dovuti non a una maggior frequenza o intensità degli eventi, ma alla più intensiva e disordinata antropizzazione del territorio. L’ipotesi della natura antropica dei cambiamenti climatici è molto incerta, è più probabile che derivino da fattori naturali.
A fronte di questa carenza di basi scientifiche, i dubbi degli scettici vengono taciuti in modo che non sorgano incertezze su una linea ideologica preordinata. L’elaborazione delle critiche è però sempre stata la molla che ha fatto avanzare le conoscenze.
Un gruppo di prestigiosi economisti (tra cui 7 premi Nobel) riuniti da B. Lomborg nel Copenhagen Consensus Center nel 2015 ha concluso, con pochissima attenzione dei media, che per affrontare il problema dei cambiamenti climatici le soluzioni migliori sono: impegnare fondi per migliorare l’efficienza delle conversioni energetiche, perseguire strategie di adattamento, mentre la peggiore soluzione è quella di perseguire la strategia del contenimento delle emissioni antropiche di CO2.
Dalla COP21 uscirà probabilmente un accordo di facciata per dimostrare che tutti i Paesi concordano sull’obiettivo prefissato. Il risultato sostanziale sarà che quasi tutti i Paesi sviluppati, che emettono ora meno del 40 per cento del totale e continueranno a diminuire il loro contributo, accetteranno limitazioni con un ulteriore aggravio dei costi dell’energia, mentre i Paesi in via di sviluppo accetteranno limitazioni solo in prospettiva futura, rivendicando il loro diritto a godere da subito di finanziamenti da parte dei Paesi sviluppati per ipotetici danni causati dalle emissioni negli anni passati. Il risultato del processo, privo di basi scientifiche ed economiche rigorose, è scontato ma paradossale: le emissioni antropiche continueranno ad aumentare, anche perché i combustibili fossili, che ora coprono circa l’80 per cento del fabbisogno energetico, non possono essere facilmente sostituiti.

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