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FINESETTIMANA - Al volo Stampa E-mail
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28 novembre 2015


AL VOLO
Non ci volevo credere! Ho letto che il settore aeronautico, se fosse uno Stato, avrebbe il ventunesimo Pil nel mondo. Non solo. Si collocherebbe in settima posizione per emissioni (incalzando la Germania e precedendo la Corea del Sud) con 700 milioni di tonnellate di anidride carbonica a livello globale nel 2013.
Non volevo credere anche a questo: da qui al 2050, l’inquinamento generato dagli aerei dovrebbe triplicarsi. E pensare che, a quella data, molti Paesi sviluppati puntano a tagliare le proprie emissioni dell’80 per cento. Forse è una notizia esagerata? La fonte merita la dovuta attenzione. Infatti, si tratta dell’ICCT. Una delle solite sigle? Chi la conosce? Anche smatassando l’acronimo, forse non dice gran che. Sarebbe l’International Council on Clean Transportation. Ma se si aggiunge che trattasi dell’organizzazione no profit indipendente che ha fatto esplodere il dieselgate, allora andiamo avanti. Anzi, facciamo prendere il volo allo studio dell’ICCT che prende in esame l’efficienza energetica nel 2014 di venti compagnie aeree attive sulle rotte transatlantiche, dall’Europa a Usa e Canada. In media, queste rotte generano una tonnellata di CO2 per passeggero, l’equivalente di quanto emette una nota auto ibrida in un anno percorrendo 35 chilometri per ogni giorno lavorativo.
Tuttavia, fa la differenza l’anzianità dei velivoli. L’aviolinea più efficiente risulta la Norvegian Air Shuttle, nei cui confronti Alitalia, all’undicesimo posto in classifica, ha il 30 per cento di efficienza in meno. Per ogni passeggero la Norvegian percorre 40 chilometri con un litro di carburante con la sua flotta di Boeing 787-8 mentre Alitalia ne percorre 31, meno della media delle compagnie attestata a 32. Dall’indagine emerge che British Airways, con un litro, percorre appena 27 chilometri per passeggero e ha il 51 per cento di efficienza in meno rispetto alla Norvegian. “Sorprende vedere differenze così grandi in termini di consumi tra le compagnie aeree”, osserva Dan Rutherford, coautore del rapporto. “La scelta della compagnia con cui si vola fa la differenza, se si è preoccupati per il clima”.
Letto questo, atterro su un’altra notizia che in certo qual modo si lega alla precedente. Me la offrono i ricercatori dell’Università di Leeds informando sulla pericolosità di piante e batteri che alloggiando, ad esempio, nelle suole delle scarpe da trekking o in altre attrezzature sportive non lavate prima di essere rimesse nei bagagli si fanno un bel viaggio e sbarcati producono effetti devastanti sugli ecosistemi. A dire il vero, la cosa mi ha fatto ricordare un mio atterraggio in Nuova Zelanda quando, poco prima di scendere, le hostess mi irrorano con abbondanti dosi di spray (credo disinfettante). In aeroporto, invece, per la prima volta vidi un cartello che proibiva allusivamente (con tanto di grande X sopra una banana) l’export di ortofrutta varia.
Ma ritorniamo allo studio dell’ateneo britannico che presumo sia anche specializzato in infettivologia. Infatti, se n’era uscito (ho indagato su Internet) con un altro studio nel quale si sosteneva che “asciugarsi le mani con asciugamani monouso porti a una riduzione del numero di microbi presenti sia sulle mani sia nell’ambiente del bagno rispetto agli asciugatori ad aria calda o a getto d’aria”.
Per la prima volta i ricercatori hanno esplorato il legame globale fra turismo e proliferazione di specie invasive mostrando che le specie non native sono significativamente più comuni in aree del globo ad alta densità turistica. Il turismo certo non sarà il maggior veicolo di “invasioni” di nuove specie nel globo, ma ad esempio - notano gli scienziati - è l’unico mezzo per l’arrivo di specie non autoctone negli angoli più remoti del mondo, come i poli o le isole nel mezzo degli oceani. Va da sé che questi luoghi non si raggiungono a piedi. Onde evitare di combinare guai in cielo e in terra propongo a tutti di starsene a casa. Leggendo Erica Jong e il suo Paura di volare.

Giuliano Agnolini_____

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