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DI TUTTO UN PO' 376 - Mi stanno bene questi jeans al caffè riciclato Stampa E-mail

Sapevo, pressappoco, che con i fondi di caffè si potessero fare tante cose. Oltre a leggere il futuro (ma mi accontenterei di capire un po’ di più il presente), servono - ad esempio - a tenere lontane formiche e lumache e, contenuti in un sacchetto, deodorano auto e frigorifero. Impastati con un po’ di olio d’oliva si prestano allo scrubbing del viso e del corpo mentre mescolati a canna di zucchero e a qualche goccia di olio di cocco vanno bene per un trattamento anticellulite.

Che i fondi siano un buon concime per fiori lo sanno tutti. Ma adesso sboccia dell’altro: i jeans realizzati utilizzando nel tessuto anche i fondi di caffè. Un noto brand (il suo nome ha a che fare con il simbolo di un Paese a stelle e strisce) da pochi giorni ha lanciato una nuova linea che impiega proprio i granelli della bevanda. Precisamente, in ogni paio ci sono 2,25 grammi di caffè riciclato.

A questo punto, le battute sono scontate. Ovvero, il capo di abbigliamento migliora il tono dell’umore? Tiene sveglio chi lo indossa? Passeggiando, ci sono scie aromatiche? Interessante, invece, una serie di informazioni fornite dall’azienda produttrice. A suo parere, è possibile ridurre il numero dei lavaggi poiché le naturali proprietà antibatteriche dei fondi consentono di tenere i pantaloni puliti più a lungo. E anche la capacità del caffè di assorbire gli odori (vedi sopra) diminuisce il ricorso alla lavatrice. Se il tutto funziona, risparmiando energia, sono innegabili i vantaggi per l’ambiente.

II nuovo tessuto, inoltre, secondo i produttori, aiuta a difendersi dai danni del sole: i pori microscopici del caffè riflettono, infatti, i raggi ultravioletti. Professo la mia ignoranza in materia, ma pensavo bastasse coprirsi, semplicemente.

In questo momento, mi sta fumando davanti agli occhi una tazza di caffè, alla quale chiedo aiuto per chiudere questa paginetta. Non ho nulla contro questo tipo di riciclo ma penso che l’impiego su larga scala dei fondi necessiterebbe di adeguate infrastrutture, tipo i punti raccolta dedicati. Ne potrebbe conseguire un problema nel portarli a destinazione, a meno che non ci sia un contesto chilometro zero. Inoltre, non ho capito bene se sia necessario un trattamento (e quindi un impiego di energia) prima di impastare il tutto con il tessuto.

Per altro, non escluderei che lo scenario descritto sia replicabile in presenza di altri residui targati biomassa. Ad esempio, tutta la gamma dei noccioli e dei gusci (vinacce e graspi compresi) nonché delle pigne/ghiande potrebbe conferire nuove ed interessanti caratteristiche ai tessuti, risparmiando altresì un po’ di tosature lanute. Sempre che non si debba ricorrere all’import. Mi fermo qui, la tazza è vuota. Se ho toccato il fondo era colpa del caffè, scadente.

Giuliano Agnolini
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