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DI TUTTO UN PO' 365 - Soffiate Stampa E-mail

Fino ad ora mi piaceva per svariati motivi. Uno molto infantile e nostalgico. Infatti, il tarassaco si presta ad essere disintegrato gioiosamente con un soffio. Tra bambini, era un divertimento a basso costo (non erano in voga le play station, anche presidenziali) cercando di direzionare l’un verso l’altro la lanugine. Con l’andare degli anni mi aveva affascinato - forse per l’evocazione di cui sopra - il Taraxacum di Achille Castiglioni. Una lampada che si ispira al fiore e che avrebbe fatto bene il paio con un’altra dello stesso designer che posseggo (la Splügen Bräu) se non fosse tanto bella quanto costosa, per me.

Terzo motivo. Ho mangiato tanto tarassaco cotto. Nei campi della Pianura abbondava, noto come pisciacane, e le gialle distese che ho potuto ammirare mi hanno fatto provare, in sedicesimo, le emozioni che si possono avvertire ammirando i girasoli di VvG, senza andare in Olanda.

Era una verdura povera, e adesso molti la raccolgono perché non sono ricchi. E poi il tarassaco fa bene alla salute avendo molte proprietà officinali. Ora questa erba potrebbe fare bene anche al Pianeta. L’ho scoperto leggendo una notizia così titolata: “La gomma naturale dalla radice del dente di leone rende più sostenibile l’estrazione della gomma. Positivi i primi test su pneumatici”.

Professo la mia ignoranza: non sapevo che cosa fosse il dente di leone e, documentandomi, ho scoperto che è il mio pisacà (ho tradotto nel mio dialetto la parola pisciacani). Non so che cosa c’entrino i denti. Curiosità raddoppiata considerando che il nostro è conosciuto anche come dente di cane. Ma la denominazione in uso dalle mie parti mi ha sempre lasciato un grave dubbio sul suo combinato semantico. Ovvero, se il tarassaco agevolasse o regolasse le funzioni diuretiche o se gli amici dell’uomo lo preferissero come sede ornata per espletare le medesime funzioni. La seconda ipotesi, forse inconsciamente, con l’andare degli anni, me lo ha reso indigesto.

Tornando alla notizia, la coltivazione del dente di leone dovrebbe estendersi sensibilmente. Il ruggito proviene dall’Istituto di biologia molecolare ed ecologia applicata Fraunhofer (IME, Münster), dall’Istituto di biologia vegetale e biotecnologia dell’Università di Münster e dalla Divisione Pneumatici di Continental di Hannover. I tre stanno collaborando con successo sul progetto “RUBIN, Industrial Emergence of Natural Rubber from Dandelion (produzione industriale della gomma naturale dal dente di leone). E i ricercatori che guidano il progetto hanno ricevuto il prestigioso premio “Joseph von Fraunhofer”, un riconoscimento per la ricerca sul dente di leone russo e il conseguente sviluppo di pneumatici con gomma estratta da questa pianta.

“Scopo di questo progetto - ha commentato Carla Recker di Continental - è sviluppare una procedura per l’utilizzo industriale del dente di leone quale fonte di gomma: in termini agrari si tratta di una pianta molto versatile, che si trova anche nell’emisfero settentrionale e può essere coltivata su terreni normalmente non idonei per la produzione alimentare. Ciò consente la possibilità di impiantare una produzione di gomma anche nei pressi di uno stabilimento industriale, al fine di risparmiare sul trasporto del materiale e ridurre le emissioni di anidride carbonica”.

Tra cani e leoni, l’iniziativa non ha l’aspetto scientifico-imprenditoriale della bufala. I primi test si sono già svolti in condizioni invernali ed estive. Il progetto procede in maniera spedita come si addice all’efficienza teutonica e gli pneumatici vegetali evidenziano proprietà equivalenti rispetto a quelli realizzati con gomma tradizionale. L’azienda produttrice intende lanciare la produzione in serie tra cinque o dieci anni. Peccato che non sia più un bambino.

Giuliano Agnolini
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