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DI TUTTO UN PO' 356 - Meglio lavorare piuttosto che andare al lavoro Stampa E-mail

“Andare al lavoro è stressante più di una giornata passata in ufficio”. C’è da supporre che sia ancora più stressante la condizione di chi non può andare al lavoro perché un lavoro non ce l’ha. Il virgolettato emerge da una ricerca effettuata dalla Casa automobilistica Ford ed ha coinvolto oltre cinquemila pendolari in sei città: Barcellona, Berlino, Londra, Madrid, Parigi e Roma. Un tempo, l’espressione “è tutta/o casa e ufficio” poteva anche suonare - aggiungendo magari “famiglia” - come una meritoria nota comportamentale. Adesso il binomio “casa-ufficio” (lasciando stare la famiglia) assume un connotato, stando allo studio, per lo meno negativo. Infatti, per i romani, il succitato viaggio andata e ritorno procura ansia e nervosismo in misura pari a quella di un trasloco mentre per i londinesi risulta peggiore di una seduta dal dentista.

La capitale, inoltre, batte Londra e Parigi come peggiore città per gli spostamenti con ritardi una volta al mese per il 78 per cento e una durata media di 111 minuti (104 a Londra e 100 a Madrid). Dall’analisi – estendibile nella sostanza, penso, ad altre realtà italiane - emerge la tendenza ad anticipare sempre più le partenze (si spera non prima della conclusione dell’orario di lavoro). Ed ancora: l'auto non è il peggiore mezzo di trasporto, essendo addebitata solo del 59% dei ritardi. Molto in ritardo il treno nella classifica - e quindi primo - per il 78 per cento degli intervistati seguito dai mezzi urbani (72%).

Secondo lo studio, la mobilità del futuro deve puntare ad integrare percorsi pedonali, biciclette, autobus, treni, autoveicoli, tram, bus navetta. “Tutte modalità - ha dichiarato Andreas Ostendorf, vicepresidente di Ford Europa - che devono essere collegate per offrire una più ampia varietà di mezzi di trasporto a prezzi contenuti”. Essendo orgogliosamente possessore di un modello Ford ringrazio il vicepresidente per l’interessante ricerca e gli scenari auspicati (condivisibili, anche, credo, da altre Case). Il tutto lo integro con alcune notazioni personali che rinnovellano un periodo della mia vita durante il quale, tra le altre cose, ho fatto il pendolare.

La sveglia suonava, dalle parti della Pianura, alle 5. Dopo la colazione, sbarbato e incravattato, una dozzina di chilometri in auto per raggiungere la vicina stazione ferroviaria, destinazione Milano. Partenza ore 7 circa, salvo ritardi. Prima, lungo la strada, capitava di imbattersi in qualche feroce nebbione che per rappresaglia e sfida pensavo di schernire fermandomi in mezzo alla campagna tirandogli in faccia gli abbaglianti e qualche moccolo. Anticipando regolarmente la partenza, mi permettevo queste divagazioni, salutando qualche merlo di passaggio.

Salito in carrozza, ogni giorno la solita scena. Non c’erano ancora le Frecce, ma come una freccia via di corsa per occupare un buon posto e riprendere a dormire. A parte la visione di qualche frotta di signorine o signore che avevano concluso una faticosa e non so quanto remunerata (per loro) nottata e che mostravano una sorprendente loquacità (ma non ho mai capito di che cosa discorressero), per circa un anno ho rivisto le mie conoscenze sul surrealismo rinvenendo un senso più profondo nella parola “surreale”. Mi sorprendeva il fatto che qualcuno fosse partito da una stazione ben più all’alba di me, un centinaio di chilometri à rebours. E così tutti i giorni, almeno cinque. Li vedevi sempre, sempre nello stesso scompartimento, stesso posto, stesso look (cambio di stagione permettendo). Via via, lungo il tragitto, salivano le stesse persone, con lo stesso profumo, lo stesso tanfo di sigaretta consumata lungo il binario prima di salire in carrozza. Poi, anche senza Marlowe, il Grande Sonno che il solito controllore non disturbava conoscendo quasi tutti i viaggiatori, rigorosamente abbonati (da anni). Raro attaccare bottone da svegli tra tanti dormienti e con alcuni svegli che si conoscevano da una vita e che dialogavano a mitraglia Mentana disturbando i dormienti.

Dopo un’ora e quaranta - se la percorrenza era rispettata - la grande corsa al luogo di lavoro. Mi toccava una mezzoretta di tram e alle 9 l’inizio delle ostilità. Verso le 16.30, saltando spesso il pasto, incominciavano le manovre per il rientro. Tram, treno alle 17 circa, auto, cena e a nanna presto.

Dopo un anno, decisi di ritornare a risiedere e lavorare a Milano. Non so se ho fatto bene. Non ho molta nostalgia di quel periodo, e solo a sentire la parola pendolare pendolo tra la commozione e la rabbia. Accadeva una quindicina di anni fa, guidavo una Fiat e avrei fatto il dodicesimo trasloco della mia vita.

Giuliano Agnolini
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