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Energy Union, l’occasione per cambiare davvero registro Stampa E-mail
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di Giuseppe Gatti




Negli ultimi anni la questione energetica, che a prima vista è essenzialmente un punto d’incontro (o di conflitto se si preferisce) tra tematiche economiche, tecnologiche e ambientali, ha assunto una valenza particolare nella dimensione europea soprattutto per ragioni politiche.
L’aperto uso dell’energia da parte della Russia di Putin come strumento di politica estera (combinato magari con l’uso dei carri armati, come la vicenda della Crimea insegna) ha reso particolarmente attenti i Paesi dell’Europa dell’Est al significato e alla portata complessiva dell’energia. Da qui la particolare enfasi posta dalla nuova Commissione Junker, che cerca di ridare smalto a Bruxelles dopo le opache gestioni dell’era Barroso, sul tema dell’energia, con un vicepresidente slovacco, Maroš Šefˇcoviˇc, che ha come mission la realizzazione dell’Energy Union e che si è immediatamente mostrato estremamente padrone della materia, e un commissario spagnolo, Miguel Arias Cañete, politico di lungo corso, cui spetta il disbrigo degli affari correnti, ma che con uguale competenza avrebbe potuto andare alla Pesca o al Turismo.



I primi atti sono stati l’esplosione di una serie di dossier (per lo più tirarti fuori da cassetti in cui giacevano da anni) che nel loro insieme dovrebbero comporre le linee guida verso l’obiettivo dell’unione energetica. Da più parti è stata criticata questa messa sul tavolo, assolutamente disorganica, di una serie di documenti in cui, si è detto e non senza ragione, si trova tutto e il contrario di tutto. Certo, il processo di ridefinizione della politica energetica europea richiederà di mettere ordine in queste carte, ma a me sembra che si possano intanto cogliere alcuni elementi estremamente positivi.
In primo luogo, il fatto stesso che si riconosca che il cosiddetto “mercato interno dell’energia” non è una realtà, ma un obiettivo da cogliere. [...]

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