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DI TUTTO UN PO' 353 - Tutto cambia ma l’autunno resta incerto Stampa E-mail

In passato è già capitato che una fabbrica, un generico luogo di lavoro o un impianto si siano trasformati in qualcos’altro. La nuova destinazione d’uso può essere pubblica o privata. In quest’ultimo caso, il granaio della fattoria di mio nonno ha assunto le forme di una mansarda (e me ne dispiaccio). Non molto lontano, l’officina di un mio antenato fabbro rivive nello studio legale di un suo discendente.

La gamma dei nuovi usi pubblici risulta alquanto ampia, corroborata dal fatto che il moderno avanza sostituendosi all’antico che un tempo era moderno. La tecnologia e, soprattutto, il mercato globale danno una mano al ricambio. Esempio: qualcuno vede una filanda all’opera? In Italia, poi, acciaierie e impianti chimici diventano o vorrebbero diventare quartieri residenziali. Peccando di blanda autoreferenzialità, svelo questo piccolo segreto. Giorni fa, in questo sito una notiziola anonima portava in verità la mia firma. Non c’era poiché sono memore di un adagio sempreverde che invita a non essere troppo autoreferenziali: “Gli asini mettono la loro firma sui muri”, alludendo ad un periodo in cui non c’erano i writer e si voleva lasciare un ricordo del passaggio scrivendo il proprio nome sull’intonaco.

In poche righe, pochi giorni fa, si accennava a due fatti. Verso metà maggio, sarà possibile visitare le centrali nucleari italiane in fase di dismissione. Ed ancora, ventitré centrali Enel ormai inutili/inutilizzabili sono pronte a trasformarsi in qualcosa di utile: musei, centri culturali, aree di ricerca, eccetera. Riprendo il tema, brevemente. Stavolta ci metto la firma, nel senso che - senza essere un esperto (davanti alle cui referenze sono deferente) - vedo nei fatti sopraelencati un autunno del mio Paese. Sono considerazioni molto personali e opinabili, assumendomene in calce l’ovvia responsabilità.

Ho sempre pensato che nei muri di un opificio ci sia ancora molta vita e molta Storia come quella vissuta quotidianamente da chi vi lavorava. Gioia, dolore, fatiche ed eventi anche drammatici. Mi emoziona ancora oggi immaginare che i muri parlino e che una stalla che non c’è più rimandi ai nomi delle mucche e dei mungitori che non ci sono più. Ha una sua estetica anche l’odore del fumo in una fonderia (solo evocativamente, ben sapendo che le condizioni di lavoro, lì, erano pessime).

Non voglio ritornare al passato, ma mette un po’ di tristezza questo passaggio di consegne, questo turismo da archeologia industriale, questo restyling del tempo andato rassodando le rughe del presente e tonificando il volto del futuro. Vorrei tanto che il mio malinconico autunno fosse quello del Medioevo di Johan Huizinga che in quel periodo vedeva i segni di un cambiamento assai vitale e portatore di nuovi scenari. Cedo le armi, che si faccia quel che si ritiene giusto. Non è il caso di arrabbiarsi. Lo sono già abbastanza, per conto mio. Nel Paese delle spending review, ho la sensazione che si siano buttati via tanti soldi. Peccato che questi non si possano fabbricare ma solo stampare. Anche lo Stato quando fa debiti è follemente autoreferenziale. Pensa solo a se stesso, gli altri devono solo pagarli. Capita nella vita.

Che pena.

Giuliano Agnolini
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