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DI TUTTO UN PO' 352 - Quasi quasi mi metto a digiuno (ma non di energia) Stampa E-mail

La carbon footprint (tradotto dall’inglese, “impronta di carbonio”) indica l’emissione di gas climalteranti (CO2, CH4, ossido nitroso N2O, idrofluorocarburi HFCs, perfluorocarburi PFCs e esafloruro di zolfo SF6) attribuibile ad un prodotto, un’organizzazione o un individuo. Insomma, sta a misurare quanto inquina l’impatto che tali emissioni esercitano sui cambiamenti climatici di origine antropica. La carbon footprint è espressa in termini di kg di CO2e (CO2 equivalente).

Servito l’antipasto ecco il resto del menù. Primo piatto, attenti a quel che si mangia: oltre che alla vostra salute può far male al Pianeta. Lo si evince da una ricerca effettuata in Spagna mettendo in risalto che in questo Paese - a parità di apporto calorico - le tavole inquinano meno (ovvero, vedi sopra, rilasciano una minore impronta di carbonio) rispetto a quelle inglesi e americane. In media l’impronta di carbonio di un pasto iberico, che si basa sulla dieta mediterranea, è di 5,08 kg di CO2 equivalente), molto inferiore di quello americano (tra 8,5 e 8,8 kg di CO2e) e del Regno Unito (7,4). Lo studio si è svolto in un ospedale ed ha coinvolto due Università impegnate nell’analisi di 448 pranzi e cene servite nel nosocomio durante l’anno. “Questi menù - ha dichiarato un ricercatore - avrebbero potuto essere serviti in qualunque scuola, ristorante o famiglia spagnola. Le ricette analizzate includono piatti tipici come la zuppa di gazpacho andalusa, il pisto manchego (una frittata di verdure fresche ), la paella o il puchero simile allo stufato”. Si desume che in Spagna si mangia molto bene e che i piatti sono trasversali in ogni location.

Dalla teoria alla pratica, di tutti i giorni. Infatti, gli studiosi hanno elaborato un database con l’impronta di carbonio dei cibi coltivati, pescati o prodotti. Per calcolare l’impronta di CO2 di ciascun piatto e menù hanno poi semplicemente moltiplicato la quantità necessaria alla preparazione del pasto. Si presume che nel computo entrino, elencando in ordine sparso, consumi di carburante, elettricità, tempi di cottura, mobilità dei dipendenti, packaging dei prodotti confezionati, riscaldamento/raffrescamento, consumi digitali vari e così via.

“La differenza tra il valore medio della dieta mediterranea e quella dei Paesi di lingua inglese - aggiunge la ricerca - è legata al fatto che in Spagna viene mangiata molta meno carne (un alimento con una grande impronta di carbonio, la zootecnia richiede ad esempio grandi quantità d’acqua, ndr) e vengono consumate più verdura e frutta (e se ne mangio troppa? Dov’è il break even tra quattro etti di filetto e altrettanti di fragole, ndr?), che hanno impronte di carbonio minori”. “Quindi, non è solo più sana, ma la nostra dieta è anche più ecologica”.

A conforto di questo indirizzo salutistico ed ecologico, giunge un’altra ricerca universitaria che suggerisce una dieta per così dire centrista, ovvero conservatrice ma non troppo oppure riformista ma non troppo. Anticipa i contenuti dello studio uno studioso dell’ateneo svedese: “L’allevamento del bestiame è già responsabile del 15% delle emissioni di gas serra causate dell’uomo. La dieta a cui siamo abituati nei Paesi ricchi non è coerente con i nostri obiettivi climatici” e, quindi via libera ad una dieta a base di pollo e uova. In tal modo, il contributo per l’ambiente risulta superiore anche a quello di una dieta vegetariana, che consuma una quantità importante di prodotti caseari. A proposito, viene fatto notare che la dieta vegana (ovvero, integralmente vegetariana) offre maggior benefici al Pianeta, ma i vantaggi che si possono ottenere passando da una dieta a base di pollame ad una vegana sono comunque minori rispetto a quelli raggiunti sostituendo il manzo con il pollo.

Dopo questa indigestione di notizie e considerazioni, sottolineerei che sinceramente sono preoccupato per le sorti del Pianeta e che qualche sacrificio sono disposto a farlo. Non so se cambierò le mie abitudini alimentari ma - se do ascolto ai suggerimenti di cui sopra - non posso fare a meno di ricordare che di passo in passo ci si trova molto lontano dal punto di partenza. Non voglio scomodare Dante quando poeta “Poca favilla gran fiamma seconda” (Paradiso I, 34) che pressappoco significa “si comincia con poco e poi…”. Non vorrei patire la fame.

Allora tento un parallelo energetico. Anche in questo ambito, si fa molto e giustamente per l’ambiente, limitando e riducendo l’impatto. Un saggio mi disse: “L’unico vero modo per risparmiare energia è non usarla”. Non so se sia vero, ma non vorrei mai esserne a digiuno.

Giuliano Agnolini
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