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DI TUTTO UN PO' 348 - Il bisogno in cerca di comfort Stampa E-mail

Con l’andare del tempo, le combinazioni di parole assumono nuovi significati o li ampliano. Ad esempio, “tazza calda” fa pensare a cappuccini, caffè o brodo (ottimo, in Pianura, il surbìr mantovano con la tazzona di agnoli in brodo fumante di cappone). Da un po’, invece, non lo sapevo, l’espressione diventa ambigua al punto che è indispensabile conoscere la location in cui viene pronunciata. Al bar, in piedi o seduti, si tratta - ad esempio - del solito espresso. In un negozio di sanitari, del water. Con maggior precisione, tra specchi, rubinetti e lavandini, ecco la tavoletta che copre la parte in ceramica. Il tutto, guarda caso, viene appellato “tazza” e il fatto che sia “calda” dipende dal tepore (regolabile) della tavoletta che conferisce comfort nel momento del bisogno. Sì, perché potrebbe essere traumatico appoggiare natiche e muscolature cosciali su di una superficie fredda, rischiando preoccupanti conseguenze sull’equilibrio psico-fisico dell’utilizzatore/trice.


Va aggiunto che questi modelli sono ampiamente accessoriati con sensori che comandano bidet e phon. D’altronde, questa tecnologia era già applicata a mani e capelli e non c’è nulla di strano che sia scesa in basso, alle parti intime. Si scopre, altresì, che anche in Italia è possibile acquistare questi prodotti. Chi volesse provare il brivido caldo, può farsi un giro sul web.


Coerentemente con l’adagio, un po’ datato, che il privato è pubblico, che il mondo è globalizzato, si apprende che esiste la geopolitica dello sciacquone. Infatti, è scoppiata una mezza guerra tra Cina e Giappone. Questo il motivo: durante il recente Capodanno lunare, molti turisti del Paese di Mezzo hanno preso d’assalto i negozi del Sol Levante portandosi a casa, in una settimana, un quantitativo di tavolette termiche per circa 1.400.000 euro (circa 400 cadauno il prezzo).


Da sempre, tra i due Stati non corre buon sangue, anzi in varie guerre ne è corso molto. Resta il fatto che Pechino ha stigmatizzato il fenomeno con larga eco sui media locali. Probabilmente, qualche residuo post-rivoluzionario stride con l’accettazione di uno status symbol (ritenuto) piccolo borghese.


Ma, senza scomodare la Storia, le relazioni diplomatiche e sedute varie, resta aperto un problema oggettivo. Infatti, le tavolette sono riscaldate elettricamente. A parte i cinesi, se l’accessorio si diffonde su scala planetaria, calcolando l’utilizzo quotidiano in famiglia (e negli uffici pubblici no?), quante centrali serviranno per alimentare il servizio? E prendendoci gusto, quanta acqua si butterà via? Quante lampadine accese? E tutto per mettersi, caldamente, a sedere.

Giuliano Agnolini
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