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DI TUTTO UN PO' 347 - Italia boom con il furto degli alveari Stampa E-mail

In Italia, c’è un furto ogni due minuti (lo dice il Censis). La casistica si arricchisce, ora, di una new entry. Mi è ronzata alle orecchie una notizia che ho evitato di girare a Virgilio, sicuro (io) che nell’apprenderla (lui) ne avrebbe sofferto particolarmente essendo (il poeta) appassionato nonché cantore della materia. Eccola: nelle campagne siciliane si rubano le arnie (o alveari, che dir si voglia, per non ripetere la stessa parola). Passi, si fa per dire, appropriarsi furtivamente di oggetti e danaro ma quanto accade nell’isola di Mattarella - e non solo li, vedremo - segna un passo in avanti o indietro (secondo i punti di vista) di un reato che nella fattispecie agricolo-alimentare era monopolizzato dal “ladro di polli”.

A dire il vero, si ruba in genere (non solo alimentare) ma sinceramente è difficile immaginare qualcuno che scappa con l’arnia sottobraccio. L’asporto richiede una tecnica particolarmente accorta e professionale essendo assai problematico tirare il collo alle api senza farsi pungere, a meno di affumicarle. Resta il fatto che chi le alleva è parecchio allarmato. Lo conferma una nota di Fai Sicilia (la Federazione degli apicoltori aderente a Confagricoltura) che denuncia la continua crescita del fenomeno e le sue ormai consistenti dimensioni.

Si fa forte il sospetto che il recente picco del numero dei trafugamenti sia spiegabile con l’esistenza di un canale clandestino per la ricettazione delle arnie. Una di queste – che può contenere da 15 a 90 mila api e produrre in media 40 chili di miele, senza contare pappa reale, propoli e cera - può valere circa 200 euro. Insomma, una cifra non proprio consistente a meno che gli autori del reato non siano dei ladri di polli, che si porti via un numero elevato di arnie o che il guadagno prenda il volo in qualche passaggio di mano durante la fase di smercio.

Purtroppo, i danni apportati all’ambiente e agli agricoltori sono consistenti poiché oltre il 71 per cento delle colture dei prodotti alimentari dipende dall’impollinazione (lo dice la FAO).

Dalla Sicilia ci si sposta in Puglia, al top per i furti di alveari, dove, secondo gli investigatori, esiste una vera e propria rete criminale formata da vedette, riciclatori, intermediari e basisti alimentata dall’ex manovalanza del contrabbando. Un’altra rete criminale che aveva rubato complessivamente seicento arnie venne sgominata in Toscana lo scorso settembre, mentre poche settimane fa a Pieve del Cairo (nel Pavese, non in Egitto) il bottino è stato di ventimila euro. E allora, come rimediare? “L’auspicio – sottolinea Vincenzo Stampa, presidente di Fai Sicilia - è che vengano rafforzati i controlli nelle aree rurali, diventate una sorta di «zona franca» per il crimine, mentre la proposta è quella di inserire, nelle misure destinate allo sviluppo del settore apistico, la possibilità di dotarsi di strutture per la sorveglianza a distanza o di telerilevamento”.

Ormai, per un verso o per l’altro, il problema della sicurezza investe tutto il Paese. Dalla banda del buco alla banda del miele. Eccetera.

Giuliano Agnolini
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