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DI TUTTO UN PO' 340 - Metto una parola sulle parole che non capisco Stampa E-mail

Chiedo scusa a chi legge ma, ogni tanto, bisogna sfogarsi. Poco poco, quanto basta, senza darsi arie da Amleto che se la prende con “le frustate e gli insulti del tempo, eccetera”. Vorrei capire perché - per capire che cosa succede nel mondo e nella mia banale quotidianità - io debba cimentarmi con cose che non conosco e non capirò mai.

Infatti, pur avendo fatto spendere a mio padre una bella somma per completare gli studi, mi ritrovo quotidianamente ad assumere il sembiante dell’allocco quando nell’aria svolazzano parole strane che - provenienti da schermi e pagine - si depositano sui miei timpani e lì s’addormentano essendo impossibilitato a comprenderle.

Potrei chiedere aiuto a qualcuno che risveglia gli intelletti degli italiani quando parla di Dante, costituzioni, anniversari di patrie unità e, financo, di Comandamenti. Visto il successo che lo show ottiene, con oceanici share, mi resta sempre il dubbio che gli spettatori fossero a digiuno dei temi trattati sul palco o che, conoscendoli, se li siano piacevolmente ripassati in poltrona. Toh, come rileggere i Promessi Sposi, dopo aver divorziato dalla lettura da tempo immemorabile.

Ecco, vorrei essere confortato e accompagnato nel periglioso (almeno per me) mondo delle competenze che non mi competono o che, per lo meno, non fanno parte del mio bagaglio (a mano) di conoscenze. Se così non è (o dovrebbe essere), minaccio di mettermi a parlare e scrivere dell’unità fonosintattica della lingua latina, delle Sonate di Domenico Scarlatti (in alternativa, dell’oratorio Das buch mit sieben siegeln di Franz Schmidt) o, se proprio mi (vi) voglio rovinare, di Renzi Matteo.

Niente di tutto ciò, bensì di peggio. Perché? Da qualche giorno mi tormenta l’apparire acustico e cartaceo di una parola che conoscevo per motivi alquanto diversi dal suo attuale utilizzo nelle cronache economico-politiche. Preso da crisi cognitiva, sono ricorso ad un prestigioso dizionario per ricevere lumi, rimanendo - dopo la consultazione - all’oscuro di quanto la parola volesse significare. Per completezza dell’informazione, di seguito si riporta in corsivo la voce compulsata, svelandone l’identità, finalmente: HAIRCUT (abbreviata nel testo in h.).

Lo sconto rispetto al valore di un’attività reale o finanziaria, data in garanzia, richiesto dal creditore a protezione del rischio di una minusvalenza dell’attività stessa. Il creditore che dovesse subentrare nel possesso in caso di inadempienza del debitore potrebbe così evitare di subire una perdita in conto capitale. L’uso di h. è diffuso in particolare nelle operazioni pronti contro termine, sia tra privati sia tra banche centrali e banche commerciali. La BCE, per es., determina quale sia l’h., in relazione al rating di un titolo, quando deve stabilire l’ammontare dei finanziamenti erogabili a una banca commerciale: se l’h. è del 10%, il finanziamento a fronte di un titolo con un valore di mercato di 100 è pari a 90. Modifiche nell’h. sono un fattore cruciale nella propagazione delle crisi finanziarie. Se i creditori ne richiedono un aumento, per es. per un peggioramento del rating del titolo in garanzia, il prenditore di fondi deve mettere a disposizione più titoli, riducendone l’uso per scopi alternativi, oppure contrarre il debito apportando maggiore capitale proprio, riducendo così la leva finanziaria. La carenza di liquidità in una situazione di crisi, che acuisce le asimmetrie informative, può innescare una spirale di richieste di aumenti dell’h. via via che il prezzo di mercato del titolo cade.

Confesso che in questo momento sono molto triste e arrabbiato. Triste, perché di fronte a questi problemi che ineriscono alla nostra vita e in sostanza alla democrazia (sennò che vita è!) la vedo dura, anche per chi vorrebbe cambiare il mondo con un click (democratico). Arrabbiato, perché Haircut è anche il titolo di un disco (che posseggo) del mitico chitarrista blues-boogie-rock George Thorogood. Un tentativo di usurpazione, quindi, che trova precedenti in alcuni personaggi di Re Lear.

Giuliano Agnolini
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