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Balzelli Rai in bolletta? Lasciamo perdere una volta per tutte Stampa E-mail
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di Giuseppe Gatti




L’idea proprio nuova non è. Appare una prima volta nell’ormai lontano 1994, su iniziativa del Ministero delle Poste e viene rapidamente seppellita dopo una sola riunione tra Ministero dell’Industria e Ministero del Tesoro, che ne certificano l’impraticabilità. Riaffiora di tanto in tanto negli anni successivi, ma è solo nel luglio 2010 con Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo Economico con delega (guarda caso) alle Telecomunicazioni, che ritrova una certa forza e ha un rilancio dopo qualche mese, sempre da parte di Romani, divenuto nel frattempo Ministro.


Oggi è nuovamente alla ribalta, grazie alla totale ignoranza del mercato elettrico e delle sue caratteristiche funzionali che evidentemente affligge chi ha ripreso questo tema. Come avrete già immaginato, mi riferisco alla proposta di inserire in qualche modo “il canone Rai nella bolletta elettrica” e uso volutamente il linguaggio dei proponenti e insieme l’espressione giornalistica più gettonata, che è doppiamente imprecisa: non c’è un canone Rai, come a suo tempo chiarito dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, ma un’imposta di possesso di apparecchi di ricezione audio-televisiva; non esiste parimenti una bolletta elettrica, ma una fattura per la fornitura del servizio elettrico.


Minuzie si dirà, ma già la sciatteria linguistica non aiuta.
Per riverniciare di nuovo questo ferrovecchio si sono aggiunte alcune brillanti innovazioni: la prima è di estendere la tassa al possesso di tutti i device (apparecchi è demodé) in grado di ricevere segnali radio-televisivi, la seconda di graduare la tassa in base al reddito. Se si voleva complicare sia sul piano teorico sia su quello pratico una ipotesi già di suo abbastanza complessa, allora veramente si è fatto bingo e per dimostrare quanta superficiale leggerezza sorreggesse tutta la proposta si è anche detto che la riforma sarebbe partita a gennaio (2015). [...]

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