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Il 2014 chiude con tre (grandi) novità Stampa E-mail

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di G.B. Zorzoli


Nel 2014 non sono certamente mancate novità di rilievo in campo energetico e ambientale, fra cui tre particolarmente importanti.


Crolla il prezzo del petrolio
Dal 2010 fino all’estate scorsa le quotazioni del Brent erano state tendenzialmente stabili, con un valore medio di circa 103 dollari/barile. Ancora a inizio 2014 gran parte dei bilanci preventivi delle compagnie petrolifere assumevano prezzi non troppo lontani da questo. Nel 2014, dopo avere continuato a oscillare fra 105 e 115 dollari/bbl (raggiunti il 19 giugno), nel secondo semestre il prezzo del barile ha improvvisamente assunto un andamento discendente, che in poco più di tre mesi l’ha portato sotto quota 90 e addirittura, a fine novembre, intorno a 70 dollari.


Sulle possibili concause politiche del fenomeno le opinioni sono svariate e spesso fra loro contrastanti, mentre è abbastanza generale il consenso sull’iniziativa che ha innescato la perdita di circa un terzo del prezzo del greggio sui mercati internazionali: gli sconti concessi dall’Arabia Saudita al petrolio venduto negli Stati Uniti. Di mero innesco però si tratta, qualcosa di analogo a un sasso gettato in un lago sottoraffreddato, che di colpo gela.



Nel caso del greggio, al sottoraffreddamento e alla successiva gelata hanno contribuito diversi fattori:
il calo della domanda, provocato dalla sua distruzione strutturale nei Paesi Ocse (2005-2013: meno 4,5 milioni bbl/g, di cui 2 in meno negli Stati Uniti) in larga misura dovuta al calo dei tassi di motorizzazione nelle aree urbane dei Paesi sviluppati, alla diffusione di veicoli più efficienti e a nuovi strumenti di mobilità (come il car sharing);
il rallentamento congiunturale della crescita della domanda nei mercati emergenti specie dell’area sudamericana (2005-2013: più 1,5 milioni bbl/g) e asiatica (2005-2013: più 6,8 milioni bbl/g), verso cui l’offerta petrolifera faceva maggior affidamento;
un forte aumento sia della capacità produttiva, ormai superiore a 100 milioni bbl/g, sia dell’offerta corrente, dovuto essenzialmente alla crescita della produzione di shale oil negli Stati Uniti;
l’amplificazione di questi tre fattori “oggettivi” da parte del mercato finanziario che, attraverso la negoziazione dei future, è il vero price marker.[...]

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