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DI TUTTO UN PO' 334 - Con Rosetta c’è spazio per il futuro Stampa E-mail

Quando sento pronunciare “rosetta” mi viene alla memoria la stele di Rosetta, per la quale un mio professore si era preso una cotta e continuava a parlarne, appena avevo messo i primi calzoni lunghi alle superiori. Questa pietra egiziana piena di iscrizioni (anche) geroglifiche mi è rimasta mnemonicamente scolpita, pesante come un masso sullo stomaco, e i tentativi faticosi degli studiosi per decifrarla e interpretarla, dall’Ottocento in poi, sono paragonabili a quelli che molti italiani fanno per capire il loro Paese.

La rosetta, poi, mi ricorda un tipo di pane che dalle parti di Milano chiamano michetta nonché il nome di un paio di conterranee il cui incarnato è tuttora piacevolmente conservato.

Adesso, il catalogo viene integrato dalla missione Rosetta - così si chiama alludendo, come per la stele, a misteri (stavolta spaziali) da decifrare - quella che ha depositato su di una cometa il modulo “Philae”. Un viaggio durato dieci anni e lungo cinquecento milioni di chilometri, rispettando i tempi previsti. Percorrenza interessante che fa riflettere sulle vicende della Salerno-Reggio Calabria.

Tutto è filato liscio, e l’Europa sponsor scientifico può essere orgogliosa dell’impresa alla quale ha contribuito anche il nostro Paese. Però, accidenti, è mai possibile che il Vecchio Continente (Italia compresa) si comporti così bene quando affronta l’infinito e sia così malandato quando deve risolvere problemi terra-terra?

Ormai, il Pianeta sembra destinato ad altra sorte. Quella di fare le valigie e, prima o dopo, trasferirsi lontano lontano, lontano, quindi/però, dal senso sentimentale attribuito da Luigi Tenco all’aggettivo replicato nel titolo e nel testo di una sua canzone. Destinazione mondo nuovo (Cristoforo Colombo docet) pieno di opportunità, senza articoli 18 e jobs act, senza fiscal compact e spending review. Non ci sono arrivati (cognitivamente) i governanti ma gli scienziati facilitando tra un tot di secoli una migrazione che farà impallidire mare nostrum. Dopo, viste le dimensioni cosmiche della nuova frontiera - e chissà per quanto tempo - non si penserà all’eventualità di uno spatium nostrum. Che cosa ne penserebbe Ennio Flaiano, un esperto in marziani capitolini?

Signori, si parte. La novella arca di Noè è in rodaggio e, senza disturbatori di sorta, rispetterà scadenze e promesse: dieci anni erano e dieci sono stati. Lassù, tra gli asteroidi, gli agguati non sono pericolosi quanto quelli parlamentari. C’è da credere che - almeno lì - il clima sarà più distensivo rispetto a quello che si respira nei talk show. Infine, un plauso sincero a Fabiola Gianotti, la prima donna alla guida del Cern. Molta tristezza, invece, nel costatare che l’Italia affoga quando piove. Cose dell’altro mondo.

Giuliano Agnolini
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