31 ottobre 2014 - Ma cosa significa, in fin dei conti essere smart? Lo scorso anno Nuova Energia aveva provato a rispondere a questa domanda interpellando un campione di visitatori del salone Smart Energy Expo di Verona. Il responso era stato inappellabile: agli italiani il termine smart evoca tutto e niente; ha una flessibilità assoluta, si adatta ad ogni esigenza, interpretazione, traduzione, variazione sul tema. Infatti da poco più di 100 interpellati erano giunte ben 55 risposte diverse! Ad esempio, smart era stato identificato come sinonimo di brillantezza, ecologia, sostenibilità, tecnologia, visione, portabilità, creatività, modernità, intelligenza, semplicità, furbizia, eccetera eccetera.
Non è certo più avaro, da questo punto di vista, il recente Rapporto ICity Rate 2014 che ha stilato la classifica delle città smart italiane, analizzando 106 Comuni capoluogo (e decretando su tutti la vittoria di Milano). Lo studio ha preso in considerazione ben 72 indicatori statistici.
Tra questi c’è davvero l’imbarazzo della scelta: cura dell’infanzia, assistenza ospedaliera e domiciliare agli anziani, coesione sociale, modesta quota di popolazione in condizione di povertà relativa, tasso di partecipazione agli spettacoli, equilibrio di genere nei tassi di occupazione (anche le quote rosa sono smart?), vitalità urbana, qualità del capitale sociale, produttività del lavoro, intensità brevettuale, qualità della connessione residenziale, internazionalizzazione culturale... e via dicendo.
Tutti elementi, sia chiaro, che contribuiscono alla qualità della vita e che rendono più vivibile una città. Ma così facendo il rischio è quello di svuotare il concetto di smartness di un suo significato e di una sua specificità. Si inciampa nell’effetto boomerang di certi menù di ristoranti poco stellati che decantano come specialità della casa carne, pesce, contorni, primi secondi e dolci.
Se tutto è speciale, niente e speciale. Se tutto fa smart...