A suo tempo votai in favore del nucleare e feci anche propaganda per il sì, pur non essendo un fan scatenato di questa fonte.Il pericolo insito nella proliferazione non si può escludere o annullare a priori e non si può neppure circoscrivere alle aree più calde del Pianeta. Non si può,ad esempio, considerare l’Iran troppo pericoloso e nello stess
"OGGI, TROPPO SPESSO,
CI DIMENTICHIAMO DI QUANTO SIA PREZIOSA L'ENERGIA,
LA DIAMO PER SCONTATA"
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o tempo un Paese europeo totalmente immune da qualsiasi rischio. Ciò premesso bisogna partire da una considerazione di fondo. Quando si parla di energia la scelta è sempre tra il male minore. Non esiste un ’opzione totalmente negativa e una, al contrario, del tutto positiva. E bisogna sempre avere in mente, comunque, quanto l’energia sia ormai irrinunciabile nel nostro vivere quotidiano. Quando andavo in prima elementare, nel 1935, e la sola lingua che parlavo era il dialetto piacentino, non c ’erano ancora i contatori in casa. L ’elettricità si pagava a forfait: un tot per un numero prestabilito di lampade. Una famiglia consumava 100, forse 200, kWh l’anno. E quell ’energia costava varie giornate di lavoro. Parecchie famiglie, magari con sei o sette figli, non erano infatti in
grado di permettersi quel lusso. Poi ci furono due invenzioni rivoluzionarie. Il ferro da stiro elettrico e i portalampade con la spina. A quel punto fu necessario introdurre il contatore e i consumi cominciarono a crescere. Oggi, troppo spesso, ci dimentichiamo di quanto sia preziosa l ’energia, la diamo per scontata.
La disponibilità di elettricità a costo (relativamente) basso ci ha viziati?
Credo proprio di sì. Oggi tutti criticano la politica di Bush in Iraq, però vorrei vedere come si comporterebbe l’Europa se di colpo la benzina balzasse a 3 o 5 euro al litro. Lancerebbe una nuova Crociata. Un grande storico dell’epoca romana sostiene che la caduta dell’Impero romano fu essenzialmente dovuta a una crisi energetica. La decadenza è iniziata dopo Traiano, l’ultimo imperatore che mise a segno un importante conquista, quella della Dacia, l’odierna Romania. Quella conquista portò in Italia decine di migliaia di schiavi che furono poi mandati in Africa, il granaio dell ’Impero. Venendo meno il flusso di schiavi, anche per la crescente influenza del Cristianesimo, mancò una fonte allora primaria di energia. E non fu sufficiente sopperire con i primi utilizzi di energia idraulica per muovere i mulini o con il ricorso alle bestie da soma. Oggi una pur diversa crisi energetica potrebbe ancora portare a profondi mutamenti, come quelli successi quasi due millenni or sono.
Un problema che anche il nucleare potrebbe contribuire a scongiurare. Ma crede davvero che in Italia sia ancora possibile parlare di questa opzione? Non pensa che sia ormai una battaglia persa?
No, no, no, non deve esserlo! Se si potesse fare a meno di questa opzione, ricorrendo in alternativa solo alle rinnovabili e al risparmio, sarebbe una gran cosa. Ma è un’illusione. A livello mondiale la crescita dei consumi appare molto difficile da frenare, e anche in Italia la tendenza va in direzione di un rialzo ulteriore. D’altra parte l’avversione dell’Italia al nucleare è una delle solite mistificazioni nostrane. Perché di kWh nucleari, notoriamente, ne compriamo parecchi dalla Francia, e li paghiamo più di quanto costerebbe produrne direttamente in casa nostra. Nel ‘93 come Asm avevamo tentato di subentrare nella gestione di Caorso, per rilanciare la produzione di energia nucleare. Il Comune sembrava d’accordo. Poi non se n’è fatto più nulla. Ma questo dimostra quanto ancora crediamo in questa fonte.
A proposito di mix delle fonti, quale sarebbe secondo lei la situazione ottimale per l'Italia?
Certamente ridurre il gas. Una fonte eccessivamente ricattabile, soprattutto se arriva via tubo. L’ideale sarebbe poter tornare agli anni in cui bastava il solo idroelettrico, ma ovviamente quello era un periodo nel quale i consumi erano un decimo rispetto ad oggi. E allora le strade percorribili sono poche: piùcarbone e più rinnovabili.
Sta pensando all'eolico?
L’Italia non è un Paese ricco di zone ventose. Lo sfruttamento di questa fonte ha ancora margini di crescita, ma non enormi. Credo molto, invece, nel fotovoltaico. Se in Italia ogni singola abitazione si dotasse di un pannello fotovoltaico, anche solo
della potenza di un kW, in linea del tutto teorica si potrebbe arrivare ad oltre 15 GW potenziali. Le economie di scala di cui hanno beneficiato settori quali la telefonia o le auto, non appena è iniziato il boom della domanda, fanno sperare che anche in questo campo potrebbe esserci una drastica riduzione dei costi, qualora partisse un vero mercato. Il vero problema, a quel punto, riguarderebbe la rete e la gestione degli squilibri che una fonte discontinua può causare. Occorrerebbe, naturalmente, prevedere anche un parco di centrali termiche di riserva (quando le condizioni meteorologiche non consentono lo sfruttamento della risorsa solare, oppure durante la notte). E quelle centrali potrebbero funzionare a biomasse e rifiuti; non tutto il giorno e tutti i giorni, ma solo quando serve. Si tratterebbe di ripensare il sistema elettrico a fonti rinnovabili… Sempre, però,partendo dal presupposto che da sole le rinnovabili non possono certo tenere in piedi il Paese.
Lei crede molto nelle potenzialità dei rifiuti, vero?
Il termine inceneritore cela un disprezzo. Disonesto. I rifiuti sono a tutti gli effetti un combustibile, di produzione nazionale, con potenzialità non marginali. I 30 milioni di tonnellate di Rsu prodotti ogni anno nel nostro Paese potrebbero infatti garantire il 5 per cento del fabbisogno interno nazionale.
In Italia gas ed eletricità hanno preso diversi percorsi. Perchè due esperienze così differenti?
I 30 anni di concessione, le reti in una sola mano, i contatori elettronici, sono la parte buona del sistema elettrico. Nel gas c ’è stata una liberalizzazione frettolosa e ancora oggi opera un numero eccessivo di imprese (nell’ordine delle centinaia). Per questo il sistema funziona peggio di quello elettrico.
Nello specifico del comparto elettrico, qualcuno si aspettava – con la liberalizzazione - una pluralità di soggetti. Invece i recenti processi di fusione e aggregazione prefigurano uno scenario nel quale resteranno solo pochi player. Stiamo dun que facendo un passo indietro?
Dal mio punto di vista, per un mercato come quello italiano l’ideale sarebbe avere più di tre soggetti – almeno cinque - e certamente meno di dieci. Impedirei per legge, invece, la possibilità di lanciare delle Opa. Altrimenti il rischio può essere davvero quello di tornare a un monopolio, oppure a un numero troppo esiguo di grandi operatori.
Ma, almeno dal punto di vista del cliente, ci sarà un vantaggio nel potersi raffrontare con una pluralità di soggetti tra i quali scegliere…
Certamente il grosso cliente ha tratto beneficio dalla liberalizzazione. Ha una forza contrattuale determinante, conosce bene il mercato, guarda al millesimo di euro sul kWh quando va a siglare un contratto, ogni anno va a rivedere la propria posizione e spesso cambia il proprio fornitore di riferimento. Basti un dato: meno della metà delle industrie presenti sul nostro territorio di riferimento acquistano da noi. Se questa non è concorrenza… Ma per il singolo utilizzatore è tutta un’altra storia. Il rischio di inseguire un’offerta apparentemente molto più vantaggiosa delle altre è quello di finire in qualche imbroglio. Questo vale, forse a maggior ragione, per il settore gas.
Proviamo a mettere qualche numero sul tavolo?
Pensiamo a una famiglia con un’abitazione da circa 300 metri cubi che in un anno può spendere qualcosa come 1.500 euro. Il prezzo medio del gas per il consumatore civile standard è composto per il 41 per cento da imposte. Un altro 33,5 per cento riguarda la materia prima. Ci sono poi i costi di distribuzione, di trasporto nazionale, di stoccaggio, di commercio all’ingrosso. Il commercio al dettaglio incide solo per il 3,4 per cento.
Facendo i conti si scopre facilmente che le componenti “fisse ”, quelle sulle quali l’operatore locale non può incidere, sono la stragrande maggioranza. La competizione, alla fine, si gioca su pochi euro l ’anno.
In una recente intervista, il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà ha parlato del senso in cui deve andare
la liberalizzazione: “non nel senso di difendere i privilegi delle municipalizzate”. La sua azienda si sente privilegiata?
Nell’elettricità non ci sono privilegiati. E men che meno sono privilegiate le multiutility. E poi dove starebbe il privilegio? Forse nella protezione dei Comuni? Ma una piccola multiutility per il suo Comune di riferimento è un costo, non certo una risorsa. Il detto “piccolo è bello” è solo un sogno, una speranza.
Veniamo al problema dell’accettabilità sociale dei nuovi impianti. Brescia ha fatto scuola con il suo termovalorizzatore…
Macché scuola. Mi sento come il tenente Drogo nel Deserto dei Tartari. Purtroppo nessuno ci ha seguito, la nostra esperienza non ha avuto proseliti. Eppure ci sono risultati inequivocabili. Nell’elettricità e nel teleriscaldamento oggi abbiamo costi estremamente competitivi. Rispetto alle nostre, le tariffe del teleriscaldamento – per kWh – sono superiori di quasi il 40 per cento a Bologna, di quasi il 20 a Reggio Emilia, attorno al 10 a Verona e al 5 per cento a Torino. Noi usiamo i rifiuti, Bologna il gas naturale…
Quindi l ’accettabilità sociale passa anche dal portafoglio?
Il consenso passa anche dalla bolletta, certamente. Di sicuro la situazione oggi è più difficile rispetto a qualche anno fa; le opposizioni in ambito locale si fanno sentire maggiormente. Non è vero,comunque, che è ormai impossibile realizzare nuovi impianti. Nel Sud, a Vasto e a Crotone, stiamo costruendo due nuove centrali da 800 MW ciascuna.
Malignamente...gli utili delle società energetiche sono strepitosi.Un po ’ meno il costo delle bollette..Che cosa si può fare per dare una mano ai consumatori?
Non cadiamo nei luoghi comuni. Una società deve fare utili; per statuto. Non può fare regali o liberalità. Se io inizio a remunerare il mio azionista meno di quanto fanno i Bot o meno di quanto fanno altre società, l’azionista sposta i suoi investimenti, l’azienda va a fondo e non c ’è più energia. E a quel punto sì che il consumatore riceve un bel danno. Nel mercato è la competizione che determina il prezzo e, come dicevo prima, almeno per i grandi utilizzatori la concorrenza è già oggi fortissima.
Torniamo per un attimo al concetto di campioni nazionali. L’idea è che debbano essere forti in Italia per essere forti in Europa. Cosa ne pensa?
Ritengo che sia quasi indispensabile avere un Enel e (soprattutto)un Eni forti.
È favorevole alla separazione fra rete e gestori?
"RETE E GESTORI:
NON SONO FAVOREVOLE
ALLA SEPARAZIONE.
SAREBBE UN GRAVE ERRORE"
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No, non sono favorevole alla separazione. Sarebbe un grave errore. Nel Medio Evo era diffuso l’istituto dell’enfiteusi, ovvero dell’affitto “per sempre”. Questo ha portato a un forte depauperamento dei terreni fino a quando, con la Rivoluzione Francese, si è ritornati a un fitto massimo di nove anni. La stessa cosa succede con le case popolari. Se abiti un appartamento che non è tuo, non hai nessuno stimolo a mantenerlo in ordine ed efficienza, a fare le dovute manutenzioni, e così via. Lo sfrutti al massimo finché puoi e poi… sarà un problema della proprietà. Vedo gli stessi rischi nel settore energia. Il semplice gestore sfrutterebbe a fondo la rete, senza “responsabilità” sul suo mantenimento. Il proprietario rischierebbe di trovarsi, al termine del contratto di gestione, una rete piena di buchi e di guai. E a quel punto, chi ci deve mettere mano?
Come giudica le prime esperienze italiane della Borsa elettrica?
Positivamente. La Borsa ha funzionato molto bene; forse per questo se ne è parlato poco.