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Ecco il costo di Kyoto per le ımprese energetiche italiane Stampa E-mail
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di Francesco Marghella| vice presidente AIEE Giovani



Il 31 dicembre 2012 è giunto al termine il quinquennio previsto dal Protocollo di Kyoto per l’adempimento agli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra da parte delle nazioni ad economia avanzata. Gli Stati Membri dell’Unione Europea, per raggiungere il target stabilito in sede UNFCCC (United Nation Framework Convention on Climate Change), hanno adottato congiuntamente una serie di iniziative di politica climatica, tra cui l’Emission Trading System (ETS), il sistema di cap&trade dei diritti di emissione di gas serra da fonte industriale.


Nello studio proposto di seguito, si è cercato di dare un’idea di quale sia stato l’impatto degli accordi internazionali presi per fronteggiare i cambiamenti climatici in termini di costi sostenuti dalle imprese italiane coinvolte nel sistema europeo di scambio di quote di emissione. Gli obiettivi di Kyoto prevedevano un taglio dell’8 per cento delle emissioni di gas serra calcolate come media annuale delle emissioni del periodo 2008-2012 rispetto a quelle dell’anno base 1990. All’Italia, secondo lo schema di ripartizione dell’impegno (burden sharing) tra i Paesi dell’UE, toccava una riduzione del 6,5 per cento.
Obiettivo che, secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale - Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2012; National Inventory Report 2014 (il dato si riferisce alle emissioni uso del suolo escluso) - non è stato raggiunto poiché a livello aggregato le emissioni si sono ridotte solo del 4,6 per cento.


Il risultato complessivo, tuttavia, è stato il frutto di un andamento delle emissioni differenziato per settori economici. I settori esclusi dall’ETS, tra cui il comparto civile, i trasporti, la piccola industria e l’agricoltura, sono risultati molto lontani dal target, con 113 milioni di tonnellate di CO2-equivalente (escluso l’uso del suolo) emessi in eccesso nel periodo di adempimento, in media 22,5 milioni di tonnellate l’anno, pari all’8 per cento in più rispetto al target.
La grande industria, invece, inclusa nel sistema di scambio dei permessi, ha totalizzato emissioni di gas serra per circa 966 milioni di tonnellate di CO2-equivalente nel periodo di adempimento, pari al 4,3 per cento in meno rispetto all’obiettivo di 1.009 milioni di tonnellate, per un risparmio medio di 9 milioni di tonnellate l’anno. In questo caso la fonte dei dati è la European Environment Agency (Trends and projections in Europe 2013 - Tracking progress towards Europe’s climate and energy targets until 2020).


Ciò significa che il sistema produttivo del Paese, duramente colpito dalla crisi dalla quale sta ancora cercando di risollevarsi, non ha vissuto gli obblighi derivanti dalle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici come semplice e indesiderato onere suppletivo. O almeno non li ha subiti nella misura che si sarebbe prospettata in assenza della contrazione dell’economia iniziata negli ultimi mesi del 2008, risultando addirittura, per molti soggetti, un’opportunità per alleviare, attraverso la vendita dei permessi ricevuti in eccesso, i danni provocati dalla recessione.
Nell’intento di presentare dei risultati omogenei, si è voluto restringere il campo dello studio alle sole imprese energetiche. La metodologia seguita è stata la valutazione dei costi dell’ETS attraverso la stima del costo sostenuto per l’acquisto dei permessi ad inquinare al netto del ricavo ottenuto per la loro vendita. Non vengono, quindi, computati gli investimenti finalizzati alla riduzione dell’impronta di carbonio della propria attività. Ciò non può che rendere parziali gli esiti dello studio, che peraltro non risponde alla domanda circa i ruoli giocati dai diversi fattori nella riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Tuttavia, attraverso numerose e macroscopiche semplificazioni, è stato possibile trarre alcune interessanti conclusioni.[...]

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