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DI TUTTO UN PO' 315 - Non siamo in guerra ma è come se ce l’avessimo addosso Stampa E-mail

Stavolta mi sento protetto da uno scudo che non è quello fiscale e nemmeno quello di Achille. Il silenzio stampa elettorale impone a queste righe di rivolgersi altrove. Mi viene da ridere, visto il divieto, ma visto che in generale c’è poco da ridere, ringrazio e mi rivolgo - come preannunciato - altrove.

Tra i fenomeni più incomprensibili, per me, degli ultimi tempi, segnalo l’uso di un motivo che ha conquistato i tessuti. Avevo fatto l’occhio sull’optical, sui fiorati, sul tinta unita più shocking, ma mai mi sarei aspettato che dilagasse il mimetico. Mi spiego. Si tratta di quel disegno che spesso si vede nelle uniformi militari. Adesso te lo ritrovi da tutte le parti, anche con sfumature cromatiche. Non l’ho ancora visto - ma lo sarà certamente - applicato alla biancheria intima (femminile e maschile) ma già impera in camicie, leggings, giacche, coperture dorsali per cani, cappelli, scarpe, automobilone per rampolli di dinastie originarie di Torino, rivestimenti per divani e così via. Se non ricordo male, mi rimase impresso vedendolo stampato sulle uniformi delle forze alleate impegnate nella Guerra del Golfo.

Non riesco a capire quale messaggio voglia veicolare chi indossa il mimetico. Scherza con la guerra, la vuole sdrammatizzare? O la vuol rimuovere, visto che ce ne sono in giro sempre tante? O il motivo modaiolo vive una sua autonomia estetica? Ovvero, è bello indipendentemente da quello che vuole significare. Ipotesi, quest’ultima, abbastanza plausibile visto che a volte di questi tempi si ha la sensazione di vivere nell’era dell’indistinto (una cosa vale l’altra).

Comunque è augurabile che - con gli anni - l’abitudine a portare il motivo non induca le persone a mimetizzarsi troppo e che, invece, coraggiosamente si cerchi di imitare esempi virtuosi.


Giuliano Agnolini
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