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DI TUTTO UN PO' 313 - Il piatto piange: lo testimoniano polli e tacchini Stampa E-mail

Sembrano in arrivo alcuni segnalini di ripersa. Il diminutivo è di rigore poiché se quelli sono già piccoli per la media europea, all’Italia tocca la metà della percentuale indicata (e sperata). Di solito, per fotografare la situazione, si inquadrano vari indicatori, vari fondamentali, numeri a profusione eccetera con l’obiettivo di capirci qualcosa.

Senza rubare il mestiere a chi ci pensa e campa con queste pratiche, ci permettiamo di mettere a fuoco e fiamme un fenomeno. Si tratta del consumo di carni avicole, destinate per l’appunto ad essere messe a fuoco e fiamme (del fornello o della griglia). L’interesse verso cosce, petti, alette e frattaglie miste nonché uova (anche queste fanno parte della filiera avicola) non sarebbe stato così forte se non ci trovassimo nella ormai ben nota e difficile congiuntura economica.

Quando andava meglio, le avicole erano considerate una carne di seconda fascia, meno nobile rispetto alle pregiate rosse. Non a caso costavano meno rispetto alle concorrenti bovine, simbolicamente rappresentative degli anni del benessere. Prima, pur essendo praticato l’abigeato, l’espressione ladro di polli stava ad indicare una diffusa indigenza. Solo il ricordo, anche inconscio, potrebbe aver penalizzano il settore pennuti commestibili rimuovendone l’appetibilità. Poi, le malattie del benessere hanno ridato slancio al consumo di polli e tacchini. Ma più della dieta poté un altro tipo di dieta imposta dai medici della nostra traballante economia.

D’altronde, il carrello della spesa alimentare rispecchia fedelmente le disponibilità di chi lo spinge. E, di sicuro, un petto di pollo costa meno di un filetto. Pertanto, non deve stupire che dal 2007 al 2013 gli acquisti delle carni a due zampe siano cresciuti di oltre il 25 per cento. Anni fa, chi mangiava affettati passava quasi per un mezzo morto di fame (pane e mortadella? un inno al risparmio alimentare); il tonno con le patate lessate e un po’ di cipolla tritata diventava - vista l’economicità dei componenti - quasi un piatto francescano da nascondere al prossimo quando ormai il Paese era orientato verso una laica ed edonistica società dei consumi. Infatti, si risparmiava sul cibo magari per farsi una vacanza o pagarsi una cambiale per l’auto. Ora, le scatolette e i vasetti delle specie tonnate pregiate se ne stanno protette nei supermercati da vetrine sottochiave. A gentile richiesta del cliente, l’apriti sesamo eseguito dalla cassiera. Pare, pure, che gli italiani non facciano molto caso alla data di scadenza delle confezioni.

Nessuna nostalgia, ovviamente, per i tempi della pellagra. Quindi, si speri nella ripresa evitando figure da pollo.


Giuliano Agnolini
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