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Non è un mistero la “gabbia” dei 100 dollari al barile Stampa E-mail
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Drilling



Sono ormai anni che si disputa sulle oscillazioni del prezzo del greggio e ci si pone la domanda sul perché il valore di 100 dollari sia divenuto di fatto il livello di un nuovo stabile equilibrio del prezzo del petrolio. Si sentono molti argomenti sia sulle ragioni che starebbero a supporto di questo numero sia su quanto esso sia veramente stabile. Purtroppo molto spesso le analisi che vengono elaborate e pubblicate finiscono con il consolidare ulteriormente la sensazione di incertezza nella quale navigano gli analisti della materia.


Il mercato, inteso come la comunità internazionale che opera in tutte le fasi del ciclo produttivo del petrolio, condivide le incertezze di fondo dello scenario e reagisce con accelerazioni brusche e repentine ad ogni evento che sembri indicare un cambiamento di questo “fragile” equilibrio. E quindi manifestando il timore che l’equilibrio intorno ai 100 dollari/barile sia fondamentalmente instabile. Eppure, il mercato è fermo su questi valori ormai da anni. Che ci piaccia o no, possiamo solo cercare di capire le ragioni di fondo, ma assumendo il dato così come si presenta.
In passato, è successo spesso che si sia tentato di “intrappolare” il prezzo del petrolio dentro gabbie prefabbricate, che hanno funzionato soltanto nel periodo storico dal 1973 al 1981, quando le grandi crisi nel Medio Oriente furono accompagnate dalla volontà dei Paesi OPEC di aumentare le loro entrate petrolifere. Compito facilissimo in quel periodo d’oro. La domanda petrolifera era in aumento, l’offerta era ridotta dalla rivoluzione iraniana e dal conseguente conflitto Iran-Iraq. Ma soprattutto ha giocato un ruolo determinante nella impennata dei prezzi la quasi totale mancanza di informazione e di coordinamento fra i Paesi consumatori occidentali.


Aldilà dell’aumento dei reali consumi petroliferi, il fattore dirompente che mandò in tilt il sistema fu il pazzesco aumento delle scorte petrolifere, messo in atto nello stesso momento da tutti i Paesi industrializzati. Le scorte furono portate da un livello operativo equivalente a circa 45 giorni di consumo a 180 giorni. E in una atmosfera che sfiorava il panico nazionale.
L’aumento dei prezzi imposto dall’OPEC in quella circostanza fu quasi un gioco da bambini. Loro chiedevano un aumento del prezzo, i Paesi consumatori rispondevano con l’aumento degli ordini di acquisto.
Nel 1982, quando i primi dati pubblicati dalla IEA mostrarono la follia del comportamento dei Paesi consumatori e si decise quindi di riportare il sistema delle scorte ad un valore di 60 giorni, il castello dell’OPEC crollò nel giro di poche settimane, i cui membri si mostrarono incapaci di gestire una minima attività di coordinamento della riduzione della produzione, per difendere il livello del prezzo. Nel 1985 anche l’Arabia Saudita prese atto che l’OPEC non c’era più e iniziò la propria autonoma politica di presenza sul mercato, abbandonando il ruolo di swing producer e di fissazione del Benchmark (l’Arabian Light). [...]



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