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Derchi: “Un errore scoraggiare gli investimenti” Stampa E-mail
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di Davide Canevari


Adesso non preoccupa più solo il futuro. Ma anche il presente e, in qualche modo, il passato. La mancanza di una posizione univoca, vincolante e ambiziosa nei confronti del “pacchetto clima” con orizzonte 2030 (vedi box) potrebbe infatti ingenerare conseguenze di più ampio impatto, andando a rimettere in discussione lo stesso 20-20-20 che fino a ieri pareva intoccabile. Il recente caso Spagna potrebbe non essere un segnale isolato.
Nuova Energia ha incontrato Massimo Derchi, amministratore delegato di ERG Renew, primo operatore nell’eolico in Italia, per avere un parere anche da parte del settore imprenditoriale.



Ci racconta quello che è successo in Spagna?

**Potrei partire da un semplice aneddoto. A metà marzo si è svolta a Barcellona la riunione annuale dell’EWEA; un appuntamento messo in calendario da parecchio tempo. Ebbene, nella sessione di apertura non si è presentata alcuna figura istituzionale spagnola. E questo dimostra chiaramente la tangibile tensione che si respira nel settore.


Un segnale piuttosto significativo, in effetti. Come si è arrivati a questo punto?
**Nel periodo 2000-2012 la Spagna ha accumulato un deficit di particolare entità nel settore elettrico, dovuto alla differenza crescente tra prezzi e costi. A quel punto il governo ha deciso di correre ai ripari, varando una serie di provvedimenti - volti a ristabilire un equilibrio e ad azzerare il deficit stesso - che hanno colpito in particolare le rinnovabili. Le prime misure, comprensibili e legittime, sono intervenute sugli incentivi previsti per gli impianti futuri. A quel punto, però, il governo ha deciso di mettere mano anche al passato introducendo, il 1° dicembre 2012, una serie di misure retroattive. In particolare una nuova tassa pari al 7 per cento dei ricavi (non degli utili!) generati dalle FER.
Pochi mesi dopo, nel luglio del 2013, un nuovo decreto reale - sempre con effetto retroattivo - ha stabilito che gli impianti rinnovabili nel corso della loro vita utile non possono avere una remunerazione superiore a quella dei BOT decennali, maggiorata del 3 per cento. Fatti i calcoli del caso, è risultato che molti impianti costruiti prima del 2005 hanno ora perso il diritto agli incentivi. Non è certo un caso se uno dei principali produttori eolici spagnoli, Acciona, ha chiuso il bilancio del 2013 con una perdita di quasi 2 miliardi di euro. Naturalmente è anche partita una raffica di azioni legali e sta montando un gran numero di contenziosi.


E altri, ora, potrebbero seguire l’esempio spagnolo...
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In effetti, il caso spagnolo è stato il più eclatante, ma non il solo. Misure retroattive sono state adottate anche in Romania e Bulgaria. In tutto ciò non ha certo giovato la posizione di Bruxelles, probabilmente condizionata dalla necessità di un intervento immediato sul deficit spagnolo, che si è limitata a qualche lettera di “vigorosa protesta” nei confronti di Madrid, nulla di più.


Quindi, al momento, sembra più urgente tutelare il passato (ovvero i pilastri del 20-20-20) che non guardare al futuro del 2030?
** Credo proprio di sì. Per altro, cominciano a divaricarsi anche gli interessi all’interno della filiera dell’eolico, che può quindi reagire in maniera meno compatta. Un produttore di turbine, ad esempio, non è toccato da eventuali provvedimenti retroattivi sul parco installato ed è quindi interessato principalmente allo sviluppo e quindi agli obiettivi al 2030. Al contrario, i produttori rinnovabili in questo momento sono preoccupati soprattutto dall’eventualità di vedere penalizzati gli investimenti effettuati.


Quanto pesa su un’attività di impresa l’incertezza e il temporeggiare?
** È questo il vero nodo del problema. Quello che probabilmente non viene compreso fino in fondo da chi le propone è che misure retroattive di questa portata hanno un triplice impatto di lungo periodo. In primo luogo, gli investitori hanno la memoria lunga. Chi è stato bruciato non si limita ad avviare un’azione legale per tutelare i propri diritti, ma rivede anche le proprie posizioni e i progetti a venire. Questo è un aspetto che un Paese che già manifesta una scarsa capacità di attrattiva per i capitali stranieri (come nel caso dell’Italia) dovrebbe tenere in maggiore considerazione.


E gli altri due impatti?
** Il secondo è quasi un paradosso. In questo momento anche in Europa c’è parecchia liquidità e ci sono numerosi operatori che investono (ad esempio, fondi pensione o assicurazioni) con profili di rischio molto bassi. È evidente che questi concentrano i loro investimenti dove si sentono più tutelati, allontanandosi dai Paesi meno affidabili. E in un periodo di crisi economica come quello attuale è davvero un controsenso “scegliere” di rinunciare a risorse altrimenti disponibili!
Quanto al terzo aspetto, i presunti risparmi sono tutti da dimostrare. Il “guadagno” nell’immediato potrebbe infatti essere bruciato nel lungo e nel medio periodo. La retroattività dei provvedimenti, come detto, porta inevitabilmente all’istruzione di cause e di contenziosi internazionali, che possono durare molti anni e che hanno un esito incerto. Cosa potrebbe succedere, ad esempio, se tra 5 o 10 anni quei provvedimenti dovessero essere ritenuti illegittimi? Questa situazione crea ulteriori fibrillazioni soprattutto in Paesi come l’Italia che notoriamente non ha un sistema giudiziario particolarmente celere.


Come può muoversi, dunque, in un contesto così problematico una realtà industriale come la vostra?
** Posto che l’incertezza è il veleno di ogni sana programmazione aziendale... stiamo rivolgendo la nostra attenzione verso altre aree a forte tasso di crescita, che hanno un bisogno di incentivi minore o nullo. Nel nostro caso - e nel caso di altri operatori europei - la prima risposta è l’America Latina. Certo, continuiamo a guardare anche all’Europa, ma con grande cautela e alla ricerca del giusto compromesso.


Tornando al tema 2030... un altro rischio è che, a questo punto, la già debole politica comune europea si sfaldi ulteriormente e che ogni Stato ricominci a fare di testa sua, in un settore strategico come quello dell’energia.
** Il rischio c’è, e nasce da una evidente contraddizione di fondo. Come si può conciliare il fatto che l’obiettivo del 27 per cento sia vincolante per l’Europa nel suo insieme, ma non per i singoli Stati? Se ciascun Paese decide di non assumere un impegno, e a quel punto non viene raggiunto il target, cosa dovrebbe fare l’UE? Aprire una procedura di infrazione nei confronti di se stessa?


Non crede che anche il mondo delle rinnovabili abbia delle responsabilità? Almeno nel contesto italiano, l’impressione è che negli anni scorsi abbia cercato di ottenere ingenti incentivi nell’immediato più che affermare una politica industriale di lungo periodo. E che ora stia pagando anche questa scelta...
** Che siano stati fatti degli errori, nessuno lo può negare. E lo stesso discorso vale per alcune bolle speculative che hanno riguardato specifiche situazioni o fonti. Ma il problema non riguarda l’impianto nel suo complesso, bensì gli specifici sistemi regolatori o il mancato adeguamento degli stessi. La risposta a questi errori, quindi, avrebbe dovuto essere una maggiore governance a livello europeo, proprio per correggere gli sbagli del passato. Invece, il rischio è che si scelga di cancellare indistintamente best practices e clamorosi errori, magari mettendo tutte le rinnovabili e tutti gli operatori nello stesso calderone, senza distinzione di sorta.


Giusto, facciamo qualche distinguo.
** Basta prendere in esame i numeri e le singole tecnologie. Nel 2013 gli incentivi dedicati all’eolico hanno inciso, sul totale, per circa l’11 per cento; quelli destinati al fotovoltaico per il 59 per cento. Eppure, in termini di produzione l’eolico ha garantito circa il 5 per cento della produzione nazionale di energia elettrica, il solare l’8 per cento. Si capisce immediatamente dove sono andati gli incentivi più consistenti e chi ne ha beneficiato in misura più larga...


A questo punto, che fare?
** Non buttiamo tutto a mare. Sediamoci attorno a un tavolo e proviamo, lavorando assieme, a ragionare come conciliare l’esigenza di non appesantire troppo le bollette e sviluppare nel contempo le rinnovabili, che non sono un nemico da combattere ma una preziosa risorsa per il Paese.

 
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