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L'Italia affronta le crisi geopolitiche senza strategia energetica Stampa E-mail
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di Edgardo Curcio


Ancora una volta i mercati energetici vengono scossi da crisi internazionali che coinvolgono Paesi determinanti per il buon funzionamento del mercato petrolifero e gassifero. Questa volta, a febbraio, si è trattato dell’Ucraina, con un braccio di ferro tra la nuova Repubblica, nata dopo le manifestazioni di protesta contro il presidente Yanukovich e la Russia di Putin, che non vuole perdere un’importante pedina sullo scacchiere europeo. Si sono così fronteggiate forze opposte, con il pericolo quindi di un possibile scontro armato in grado di coinvolgere anche la NATO e l’Occidente.


Senza essere troppo pessimisti, si tratta comunque di una situazione decisamente grave che tocca gli equilibri di una Regione strategica perché è attraversata da numerosi gasdotti che portano il gas russo in Europa e che già in passato sono stati chiusi, con conseguenze davvero pesanti per la situazione degli approvvigionamenti europei del gas naturale.
Questa volta la disputa fra Russia ed Ucraina non è di natura energetica ma di carattere politico, e quindi molto più grave perché non si può risolvere con una proposta economica sul prezzo del gas come avvenne due anni fa.
Le prime ripercussioni della mutata congiuntura geopolitica si sono avute sulle Borse e sui prezzi del petrolio. Questi ultimi sono aumentati soprattutto sul mercato europeo, dove il Brent ha superato la soglia di 111 dollari/barile già a inizio marzo e i prodotti petroliferi sono aumentati di pari passo. Le forniture di gas per il momento sembrano aver retto, anche perché i contratti dalla Russia sono quasi tutti take or pay e quindi non soggetti a fluttuazioni di mercato.


Il pericolo è nella regolarità delle forniture di gas, in quanto quasi tutti i Paesi europei hanno scarsa capacità di stoccaggio. Tra questi c’è anche l’Italia, che dipende per 17 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia e cioè per il 27 per cento dei suoi approvvigionamenti e che, in questo momento, non può fare conto sulle importazioni dall’Algeria e dalla Libia che hanno recentemente subito dei cali di flusso a causa di scontri armati nei due Paesi proprio nelle aree dove sono ubicate le centrali di spinta dei gasdotti.
Recentemente, peraltro, Eni aveva aumentato il flusso di importazioni dalla Russia per sopperire alle difficoltà presenti in Nord Africa. Per l’occasione l’amministratore delegato Paolo Scaroni aveva avvertito che Eni può giocare su uno o due fronti al massimo, ma non su più fronti di approvvigionamento, e che quindi la situazione andava osservata con grande attenzione e sicurezza.[...]

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