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A quando una smart energy a prezzi smart? Stampa E-mail
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di Alessandro Clerici | presidente onorario FAST



Il termine smart, applicato ad esempio alle città – smart city con i vari sotto-smart: distribution grid, distributed generation, mobility, lighting, building, eccetera – ha chiaramente un aspetto condivisibile per la realizzazione di infrastrutture e sistemi di informazione che abbiano come scopo una miglior qualità della vita per i cittadini e anche un loro maggiore coinvolgimento per contribuire personalmente allo sviluppo dinamico e necessariamente flessibile del luogo dove vivono o dove spendono gran parte della giornata.
Tutto ciò va però pianificato e realizzato nell’ambito di precise valutazioni in termini di costi/benefici, avendo ben chiaro chi alla fine paga il conto e ben sapendo che sarà disposto a pagarlo solo se veramente ne vede un tornaconto.
Lo stesso aspetto positivo si può intravvedere per il sistema elettrico con lo sviluppo delle tanto citate smart grid. Queste, come obiettivo, dovrebbero portare a un sevizio per il cliente finale più smart, specie per quanto riguarda l’aspetto di una bolletta meno salata.


E qui – per quanto riguarda il concetto di smart grid – ripeto quanto da me più volte espresso: si deve considerare e smarterizzare tutto il sistema elettrico, dalla generazione alla trasmissione, dalla distribuzione fino ai consumatori di elettricità, nel concreto sempre più relegati al ruolo di utenti sui quali si scaricano (in modo inversamente proporzionale alla capacità di lobbying delle differenti categorie) gli oneri degli sviluppi lungo tutti gli anelli della catena.
Oneri che, aggiunti a quelli fiscali, oggi per alcune categorie superano ampiamente il valore dell’elettricità prodotta che nel periodo 9 febbraio – 9 marzo 2014 ha visto il prezzo di acquisto medio giornaliero variare da 25 euro/ MWh (domeniche) a circa 60 euro/ MWh, con prezzi orari di acquisto da 20 a circa 150 euro/MWh.
E qui mi lascio trascinare dalla mia cultura di vecchio ingegnere di “sistemi elettrici” che ha visto negli ultimi 15- 20 anni svilupparsi in Italia oltre 22.000 MW di super efficienti centrali a cicli combinati a gas, seguiti negli ultimi anni dall’entrata in sevizio di 26.500 MW di centrali con capacità di produzione volatile come eolico (circa 8.500 MW) e fotovoltaico (circa 18.000 MW). La potenza totale installata di generazione supera così i 126.000 MW (e a questa occorre aggiungere la potenza media di importazione di circa 5.000 MW) con un carico di picco del totale sistema che nel 2013 è stato di soli 51.500 MW!


Pur considerando l’aleatorietà di alcune risorse (vento e sole), la stagionalità degli impianti idroelettrici e la disponibilità in genere degli impianti, ci si trova di fronte ad un notevole eccesso di offerta rispetto ai consumi in potenza e in energia; non solo gli attuali, ma anche quelli prevedibili nel medio/lungo periodo.
Per effetto della crisi – e in parte anche dello sviluppo dei progetti di efficienza energetica (ahimè non molto) – l’energia richiesta dalla rete ha subito negli ultimi anni un sensibile calo, scendendo nel 2013 a 318 TWh, valore di 12 anni fa.
I due effetti sommati hanno causato una progressiva riduzione delle ore equivalenti di funzionamento delle centrali a ciclo combinato (sotto le 2.000 l’anno, rispetto alle 5.000 ore equivalenti, valore al quale si sono avvicinate fino al 2005) e con richieste di flessibilità e prestazioni (rampe di carico in salita e discesa, spegnimenti e ripartenze fino a 2 volte al giorno data la variabilità di energia da sole e vento e la loro priorità di dispacciamento) ben superiori a quanto previsto in fase di progettazione e realizzazione.


Il vero e più serio problema del sistema elettrico italiano oggi è quindi quello di fare convivere in modo smart per il Paese – e non per i soli interessi settoriali – questi due grandi investimenti effettuati in serie. Prima tutti sulla palla dei cicli combinati, e poi a gogo sulle rinnovabili, complice una politica energetica non definibile, o meglio, grazie ad una non politica energetica spinta da interessi settoriali e ideologie.
Il problema, tuttavia, non va visto in termini di posizioni pro o contro le rinnovabili, o arroccandosi ad estrema difesa del convenzionale, bensì in modo davvero smart, basato su fatti, dati e numeri, analizzando costi e benefici di varie tecnologie e considerando “illuminati” interventi regolatori.
Guardiamo prima di tutto al presente, con la consapevolezza di doverci rimboccare le maniche per utilizzare al meglio quanto esistente.


Per farlo bisogna aver ben chiari quali sono i tipici problemi creati da una sensibile quota di rinnovabili aleatorie sul funzionamento affidabile ed economico dei sistemi elettrici, così da poter verificare come superarli/minimizzarli, pur tenendo in conto la priorità di dispacciamento delle rinnovabili e la reale entità dei problemi.
Anche trascurando possibili bottle neck (colli di bottiglia) nella rete, nell’ipotesi che la rete stessa sia una grande piastra di rame senza impedimenti in ogni momento ai flussi di potenza in nuova energia 2-2014 46 dossier smartenergy tutte le direzioni e per qualsiasi distanza, gli effetti delle FER aleatorie sono così riassumibili:

maggior riserva di potenza rotante convenzionale necessaria, con conseconseguente funzionamento delle centrali convenzionali programmabili a carichi ridotti (efficienza ridotta e maggiori emissioni per quelle termiche);
sollecitazioni alle centrali termoelettriche con rampe di carico in discesa al mattino con il sorgere del sole (per lasciare entrare in rete la potenza dal fotovoltaico in forte aumento dallo zero notturno) e in salita alla sera (per compensare la progressiva uscita dalla produzione del fotovoltaico) o per compensare le fluttuazioni dell’eolico per calo o eccesso di vento (vedi Figura 1);
spegnimenti e riaccensioni durante la giornata di centrali convenzionali termoelettriche che, come noto, non possono restare in esercizio se richieste di una produzione inferiore al 40-50 per cento della loro nominale; questo con accorciamento della vita e maggiori costi di O&M;
costi di bilanciamento per il mercato elettrico per compensare un’energia immessa in rete differente, per cause climatiche, rispetto alla programmata;
eccesso di produzione rispetto alla domanda. Specie nei fine settimana o in situazioni di basso carico ci si trova a non poter dispacciare globalmente le FER, pur retribuendole. Lo stesso problema capita in alcune ore a livello locale per eccesso di produzione da FER rispetto alla capacità di trasporto di linee non dimensionate per tener conto di tali trasporti;
distorsioni sui prezzi del mercato elettrico dovute al fatto che con la priorità di dispacciamento delle FER, specie a causa del fotovoltaico, durante le ore di sole la vendita di energia da termoelettrico viene ridotta mentre il termoelettrico stesso può fissare e recuperare il prezzo nelle ore serali dopo il calar del sole in assenza di concorrenza del fotovoltaico;
anche se il prezzo che si forma in Borsa viene ridotto dalla presenza di un prezzo zero delle rinnovabili con priorità di dispacciamento, l’effetto incentivi delle rinnovabili stesse, i costi di sbilanciamento e di adeguamenti di rete creano una bolletta finale ai clienti in salita e con impatto tanto maggiore quanto maggiore è la quota di rinnovabili e il loro livello di incentivazione. In Italia gli incentivi hanno raggiunto i 12 miliardi l’anno, con incremento medio delle bollette per chi paga totalmente la A3 del 30 per cento e oltre. Si è assistito quindi a un disaccoppiamento del prezzo in Borsa (in discesa e non solo per le rinnovabili) rispetto a un prezzo agli utenti (in continua salita);
riduzione della qualità del servizio e aumento dei rischi di collassi del sistema, specie nelle giornate di bassi carichi ed elevata percentuale di produzione da FER aleatorie che non hanno inerzia e non hanno la capacità di sostenere la tensione e il sistema (eclatanti alcuni esempi mostrati da Terna relativamente all’enorme aumento dell’area affetta da un certo livello di caduta di tensione per un guasto inevitabile in un punto della rete, rispetto ad una situazione di prevalenza di potenza rotante da centrali convenzionali).

             
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Tempo di tolling

Maggiore è la percentuale di rinnovabili aleatorie che fanno capo a un sistema elettrico, tanto più oneroso risulta il suo esercizio, con possibili inefficienze in merito agli investimenti fatti.
Questa considerazione potrebbe portarci, provocatoriamente, a una domanda. Ma allora, vale davvero la pena insistere su “favolose” (e costose) importazioni di nuove FER dall’Est Europa, dal Nord Africa o da altre zone, incrementando le problematiche per il Sistema Italia e minimizzando il possibile utilizzo locale delle stesse FER esistenti e lo sviluppo di future?
Sempre restando nel campo delle provocazioni si potrebbe fornire la seguente risposta: la soluzione potrebbe essere proprio l’opposto!
Non si potrebbe, cioè, cercare di fare funzionare di più il nostro efficiente parco di cicli combinati producendo elettricità non con il nostro prezzo del gas, ma utilizzando la materia prima dataci in “conto lavorazione” (tolling) da Paesi nostri fornitori che stanno facendo sostanziosi investimenti in centrali convenzionali?
Ricordiamo che il tolling è quel contratto per il quale un soggetto (toller) fornisce combustibile ad un altro soggetto (processor), che gestisce la centrale elettrica; il processor riconsegna al toller l’energia prodotta utilizzando il combustibile fornito, a fronte del pagamento da parte del toller di un prezzo per l’utilizzo della centrale (tolling fee).
Si tratta, ovviamente, di una forzatura che non tiene conto di molte variabili (prima tra tutte, i costi delle interconnessioni), ma che può ugualmente far riflettere.
Concreto e realistico sarebbe appoggiare maggiormente la proposta già avanzata in Italia di un mercato di bilanciamento EU, che potrebbe utilizzare anche al Nord delle Alpi la potenzialità dei nostri gruppi a gas.

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Chiaramente le strozzature nella rete acuiscono i problemi elencati e rendono necessari sensibili investimenti in linee/stazioni utilizzate per un ridotto numero di ore l’anno, con incidenza sul costo del kWh trasportato su di esse. Questo lo stato dell’arte attuale. E come si potrebbe affrontare in modo smart il problema sfruttando gli sviluppi tecnologici in atto, sia nella parte hardware di potenza sia in ICT? Il concetto di smart, come già evidenziato, deve considerare interventi non settoriali ma su tutta la catena del sistema elettrico. Ecco di seguito i più importanti possibili ambiti di intervento.

Generazione. L’attenzione va concentrata sull’aggiornamento/upgrading di sistemi di automazione, sul controllo di gruppi di generazione/centrali, su adeguati interventi di flessibilizzazione su turbine e caldaie del termoelettrico, al fine di aumentarne la flessibilità e funzionamento ai minimi carichi.
Trasmissione. Occorre attuare interventi sulla rete, sia con nuove strutture sia attraverso l’upgrading delle strutture esistenti (cambio conduttori delle linee, trasformazioni linee a tensioni superiori o in corrente continua, sistemi di accumulo) per ridurre i colli di bottiglia. Occorre inoltre ottimizzare l’utilizzo degli asset esistenti, adoperando tecnologie di controllo dinamico dei flussi di potenza su linee e trasformatori in funzione di favorevoli condizioni ambientali. Da segnalare anche l’integrazione dei tanto menzionati FACTS (Flexible Alternating Current Transmission Systems) per meglio convogliare/controllare i flussi di potenza attiva e reattiva. Notiamo che Terna sta svolgendo analisi ed esperimenti in tutti i campi menzionati.
Distribuzione. È il settore al quale sono collegati la maggior parte degli impianti fotovoltaici italiani e che ha visto crescere le problematiche relative ad allacciamenti, inversioni di flussi di potenza in linee MT e cabine primarie, eccetera. Concetti di smart distribution grid sono stati e sono in via di sperimentazione, conglobando anche sistemi di accumulo, colonnine di carica per auto elettriche e altro ancora, seguendo alcune delibere dell’AEEG e con Enel in prima fila in campo europeo.
Carichi. Sono chiamati in causa quelli industriali e – perché no – domestici (come spinto da ACER) per partecipare attivamente all’ottimo controllo/ funzionamento del sistema elettrico con una loro “modulazione” (Demand Side Management) per compensare la variabilità della generazione volatile.
Sistemi di accumulo. Già menzionati per applicazioni in reti di trasmissione e distribuzione, sono da esaminare accuratamente come localizzazione per evitare il loro inefficace utilizzo per strozzature della rete; esaminare anche l’impiego presso singoli utenti dotati o no di produzione rinnovabile locale per minimizzare gli impatti in rete della potenza totale assorbita dai prosumer. È da verificare un loro utilizzo ottimale in varie parti del sistema dalla generazione ai carichi con prestazioni “polifunzionali” (riduzione rampe di carico subite o generate, contributo alla regolazione primaria e secondaria, eliminazione di colli di bottiglia, eccetera). Va rilevato che l’Italia in tale settore e con specifiche delibere dell’AEEG sta portando avanti sperimentazioni in potenza ed energia all’avanguardia nel settore batterie. L’utilizzo di accumuli non elettrici potrebbe “integrare” le soluzioni, come pure l’uso di pompe di calore; ma qui entriamo nell’interessante campo di interazione tra rinnovabili ed efficienza energetica, che richiederebbe un discorso a parte.
Impianti da FER aleatorie. È necessario migliorare, attraverso sofisticati modelli, la previsione della loro producibilità e con adeguate regolazioni degli inverter e accumuli, contribuire a minimizzarne l’aleatorietà e concorrere anche alla regolazione dell’energia reattiva e della tensione.
Nuove tipologie di sistemi SCADA (Supervisory Control and Data Acquisition). Questo, per integrare le smart grid di distribuzione con la smart grid di trasmissione, per meglio consentire un esercizio in sicurezza della rete e agire su bilanciamenti, scambi di potenza con l’estero, modulazione/stacchi dei carichi, utilizzo di sistemi di accumulo, eccetera.


In conclusione, per tener conto dei possibili interventi di nuove tecnologie tali da permettere la miglior convivenza di generazione rinnovabile e convenzionale ai minimi costi per il Paese, occorre uscire dall’usuale ottica corporativa di monosoluzioni spesso contrapposte, spinte dai vari interessi settoriali e senza sostanziate e condivise analisi costi/ benefici.
Occorre, al contrario, un approccio veramente smart di sistema che porti ad un mix chiaramente dinamico di interventi analizzati con il loro contributo all’insieme: non esiste l’intervento singolo e risolutivo. Occorrerebbe iniziare a vedere congiuntamente il problema e lavorare attorno a un unico tavolo, produttori e consumatori di energia con fornitori di tecnologie ed esperti di sistema, cercando in prima fase di meglio capire gli effetti del proprio settore sugli altri per arrivare ad una seconda fase proattiva, propositiva e utile per il Paese.


Referenza: Smart Energy Project; Executive Summary Capitolo 8 – Gruppo smart energy di Confindustria; settembre 2013

 
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