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PAUSA-ENERGIA
 
DI TUTTO UN PO' 306 - Caro Matthy, dimmi se il tempo è davvero cambiato Stampa E-mail

Milano 19 marzo. “Caro Matthy, scusami. Mi rivolgo a te, in questo affettuoso modo, da quando non ti chiamano più «Matteo», ora che sei presidente del Consiglio e come tale vieni rispettosamente appellato. Vorrei che accadesse il contrario in qualche classe - tu te ne intendi di lavagne, compiti vari e cori gioiosi - passando dal prof/e alle forme estese.

So che in questi giorni sei molto impegnato, corri dietro a tutti e tutti ti corrono dietro. Io rincorro tanti pensieri. Passeggiando per Milano, nella pausa pranzo, vedo molta gente che corre (penso a pancia vuota), sudando da matti, sprizzando energia e sudore da tutti i pori. Le andature, arricchite da multicolori mises, talvolta testimoniano sprazzi di un antico vigore muscolare che tuttavia vale la pena di resuscitare in queste bellissime giornate.

Scorre il tempo. Ti confesso che mi sento un po’ sconcertato da questo clima molto primaverile. Troppo caldo. Non porto più i cappelli e gli unici che vedo sono quelli che sui marciapiedi attendono un obolo (credimi, davvero, nessuna allusione merkeliana).

Tanto sole. Da settimane vedo molta gente abbronzata in viso. C’è nell’aria, a parte un bel concentrato di polveri sottili, una certa frenesia vitalistica (saranno le tue annunciate misure?) che mi ricorda l’Inno a Venere di lucreziana memoria, con tutto il relativo risveglio floreale e istintuale. A suo modo, lo diceva anche Lucio Battisti: “I giardini di marzo si vestono di nuovi colori/e le giovani donne in quei mesi vivono nuovi amori”. Non mi sono informato se capita ad altri generi (non si tratta dei mariti delle figlie dei consuoceri).

Tutto questo caldo anticipato mi ha tolto pure il piacere, un po’ decadente, di leggere in sincronia temporale, come da qualche anno, La terra desolata ed il solenne incipit dove fanno capolino nel più crudele dei mesi i lillà aprilini di T.S. Eliot. Ormai abbondano le braccia scoperte e le residue calze di filanca rendono omaggio ad una stagionata nostalgia del freddo.

È difficile capirci qualcosa e per questo, caro Matthy, ti capisco quando provi a capire che cosa s’ha da fare per raddrizzare questo Paese. Ti aggiungo un’altra informazione locale che mi ha procurato molta inquietudine esistenziale. L’anno scorso, a Milano, il 18 marzo cadde la neve. Pochi lo ricordano. Ciao, e se puoi, fammi sapere che cosa ne pensi dei cambiamenti climatici”.


Giuliano Agnolini
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