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Rinnovabili, da Torino uno stop alle royalty da versare ai Comuni Stampa E-mail
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di Giovanni Battista Conte | avvocato in Roma




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Sin dai primi anni Duemila è invalsa un’usanza secondo la quale i vari Comuni nel cui territorio si volesse realizzare un nuovo impianto di energia rinnovabile chiedevano ai produttori il pagamento di una somma annua da calcolarsi in percentuale sul fatturato. Appunto una royalty. Questa usanza era tanto diffusa e stava dilagando non solo fra i Comuni, ma anche fra le Regioni e le Province, tanto che il legislatore è dovuto intervenire vietandone l’utilizzo e permettendo soltanto la realizzazione di opere di compensazione ambientale nei confronti dei Comuni.


Del resto è evidente che la corresponsione di royalty sulla produzione agli enti locali vanifica lo sforzo imposto ai consumatori dalla politica incentivante promossa dallo Stato. Se, infatti, per incentivare la produzione di energia rinnovabile si decide di gravare di un costo ulteriore il consumo di energia - con evidente incremento non solo della bolletta energetica delle famiglie, ma anche di tutto il settore produttivo - questo non può essere fatto per aumentare surrettiziamente le entrate di alcuni fortunati enti locali.


Tale ragionamento di banale buon senso non sempre ha animato il legislatore che, per esempio, l’anno scorso ha ampliato la platea degli impianti che sono costretti a pagare i sovracanoni per i bacini imbriferi montani, introducendoli anche per quei Comuni che in montagna abbiano l’1 per cento del loro territorio.
In ogni modo, sull’illegittimità di royalty esorbitanti è intervenuta un’interessante sentenza del Tribunale delle acque di Torino che ha annullato una convenzione che prevedeva il pagamento di una somma pari all’11 per cento del fatturato.
La sentenza dichiara la nullità della convenzione per un’assoluta ed evidente mancanza di causa, condannando il Comune alla restituzione delle somme di denaro percepite a titolo di compensazione patrimoniale.


Il motivo di tale decisione risiede nella stessa legge statale, la quale prevede il divieto di imporre corrispettivi per il rilascio di titoli abilitativi per l’installazione, la costruzione e l’esercizio di impianti da energie rinnovabili; infatti, tali attività imprenditoriali non sono soggette ad alcun vincolo economico, ma sono libere, salvo la subordinazione ad autorizzazione amministrativa regionale.
La sentenza ha inoltre osservato che la richiesta pecuniaria del Comune, sostanzialmente priva di alcuna motivazione, ha portato all’utilizzo improprio e fuorviante della discrezionalità amministrativa, sfociando in un abuso di potere nei confronti di quella società produttrice di energia che si è trovata a corrispondere un “canone” senza motivo, poiché tra le parti non esisteva nulla che potesse far ravvisare una compartecipazione all’azione imprenditoriale o ad uno scambio di qualche utilità che giustificasse la corresponsione di denaro.


L’idea che la produzione di energia rinnovabile fosse stata legata al conferimento di un incentivo al soggetto interessato alla realizzazione di un impianto poteva già essere un chiaro segnale della possibilità da parte degli enti territoriali di richiedere un compenso per l’utilizzo e l’occupazione del territorio nel cui luogo sarebbe sorto l’impianto, con conseguente ricaduta delle conseguenze negative sui consumatori. La sentenza sembra affermare il principio generale della natura illegittima della royalty chiesta dai Comuni per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per cui, forse, sarebbe opportuno un divieto espresso con precise disposizioni normative.


Come è noto, infatti, la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata promossa in Italia tramite la corresponsione di incentivi alla produzione a far data dall’entrata in esercizio di nuovi impianti o dal rifacimento di vecchi. I costi di questa politica industriale non gravano sulla fiscalità generale, ma sono sobbarcati alla comunità dei consumatori mediante l’inserimento di una specifica voce della tariffa dell’energia elettrica. Nel caso delle royalty però, il sacrificio dei consumatori non viene utilizzato per produrre energia rinnovabile ma, attraverso lo strumento emblematico della compensazione patrimoniale, porta a determinati enti comunali un arricchimento senza causa che si traduce in una nuova tassa indiretta (e illegittima) sui consumatori.

 
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