IL PRESIDENTE DEL CNR
di Davide Canevari
“La crisi non è l’unica responsabile dei problemi della ricerca”. Parte da questa significativa affermazione l’incontro di Nuova Energia con Luigi Nicolais, presidente del CNR.
Una figura di assoluto rilievo nel panorama della R&S nazionale - tra gli scienziati italiani con il maggior numero di citazioni sulle riviste scientifiche internazionali e autore di 18 brevetti, cita il suo curriculum personale - che anche in questa occasione sembra voler andare oltre i luoghi comuni.
Quelli che, troppo spesso si trasformano in alibi: se negli ultimi anni le strutture di ricerca pubblica non hanno avuto vita facile è tutta “colpa” della crisi e della mancanza di risorse...
Andiamo dunque più a fondo nel problema...
**Quello della ricerca è un mondo che da troppi anni è oggetto di interventi di riforma che ne aumentano l’instabilità, compromettendone funzionalità e prospettive. Ma attenzione a non ridurlo solo a un problema tecnico-economico. La questione è più ampia e complessa. La ricerca subisce gli effetti del decadimento socio-culturale che attraversa e segna la società. In questi anni abbiamo trasmesso idee distorte di successo e depotenziato l’efficacia della mobilità sociale costruita sulla formazione e la professionalizzazione delle competenze.
Con quali conseguenze?
**Scuola, università, centri di ricerca, non sono più avvertiti come traini dell’economia e del benessere. Quanto piuttosto come dei costi che la collettività deve sostenere al pari di tanti altri. Perciò, tranne gli addetti ai lavori, nessuno si strappa le vesti per i tagli alle risorse, i blocchi delle assunzioni, l’immobilismo del sistema. Ciononostante, sono e resto ottimista.
Ogni ricercatore è ottimista, altrimenti non potrebbe fare questo mestiere che si alimenta di entusiasmo, creatività, fiducia, relazioni virtuose e positive. La ricerca, poi, non aspetta, tende anche con grande sacrificio e difficoltà, a darsi e costruire per sé e per altri un futuro.
E per dare una spinta - concreta e immediata - al lodevole ottimismo?
** Certamente ci aiuterebbe una semplificazione normativa e un piano straordinario di assunzioni e stabilizzazioni che ridurrebbe la criticità del precariato scientifico.
Perché sembra essere così difficile far dialogare il mondo della ricerca e quello dell’impresa?
**Perché hanno obiettivi, linguaggi e tempi diversi. Ad esempio, la ricerca che consente gli avanzamenti più spinti, le discontinuità teoriche e applicative più strutturali, nasce senza obiettivi predefiniti e presenta spesso alte probabilità di insuccesso; inoltre ha tempi lunghi. Poi, una volta prodotta e consolidata, non tutta trova applicazione nei processi di produzione. Solo una parte di questa – solo un segmento, una porzione – intercetta realmente l’interesse imprenditoriale. Chi sta sul mercato invece ha bisogno di certezze e di risposte in tempi rapidissimi. Non sempre poi ha la capacità di sostenere e investire in ricerca. Per cui occorre lavorare su entrambi i fronti per realizzare uno spazio di incontro comune.
Sicuramente nei laboratori scientifici ci sono quantità enormi di risultati, metodi, studi già consolidati e disponibili che se incontrassero la creatività e l’interesse imprenditoriale potrebbero innescare originali processi di innovazione. Aiuterebbe, poi, un clima di maggior fiducia e apertura, e superare i rapporti individuali imprenditore-ricercatore a vantaggio di quelli istituzionali, potendo in tal modo accedere e disporre a più opportunità scientifiche e tecnologiche. Dovrebbe poi cambiare anche il nostro modo di pensare.
Avendo ben presente che...
**Oggi il ricercatore non ha più solo il compito di produrre conoscenza di alto valore scientifico, ma anche di porre attenzione a quanto ha sviluppato, cercando, laddove possibile, di individuare le opportunità di una utilizzazione concreta.
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“The economic crisis is not the only culprit behind the problems affecting research”. This quite meaningful statement opens Nuova Energia’s interview with Luigi Nicolais, chairman of CNR, the Italian National Research Council.
“Research is a field that has been under reform for far too long” he adds “which worsens its instability thus compromising its viability and prospects. But we should be careful not to ascribe everything to a mere technical-economic problem. That is a far wider, far more complex issue. Research is impacted by the socio-economic decline that runs through and hits our society. Schools, universities, research organizations, are no longer considered the drivers of economy and wealth, but rather just some of the many different costs that our society has to pay for”. However, optimism prevails in his view, along with his awareness of the fact that Italy has quite a few aces up its sleeve: “Despite difficulties, Italian research is highly competitive, attractive and worthy of interest. We are actually suffering from problems of a regulatory, organizational, and size-related nature that are not ordinary, and hold it back in its relations with its counterparts; which, at this stage of scientific competition, could make the difference. The level of education of our researchers can be numbered among our strengths, whereas our weaknesses include a system overwhelmed by useless, conservative red-tape”.
“Specifically about CNR” he continues “the results of the 2012 Monitoring Report from the European Commission published last October are worth mentioning. It is an analysis of the performance and results of Research organizations, universities and businesses’ projects funded by the European Union over the 2007-2012 period. The National Research Council ranks first among the Italian, with a good 556 participations. In the overall ranking, CNR comes after the French CNRS, Germany’s Fraunhofer and Cambridge University”.
Last but not least, a few words on the prospective National Research Strategy to come after the National Energy Strategy; an idea Nicolais seems to be far from enthusiastic about. “But wait, the point is not adopting one more planning document and relevant strategic vision. We already have far too many programs and requirements to be issued and complied with. We should rather begin to think in terms of industrial plans, identifying viable goals that can be measured against a systemic context”.
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Torniamo su un tema già affrontato, per una ulteriore riflessione. Come detto, spesso la ricerca si pone obiettivi di medio o lungo periodo o ha comunque tempi di risposta non immediati. Mentre, soprattutto in tempi di crisi, le imprese vorrebbero soluzioni di breve o brevissimo periodo. Come trovare un punto di incontro?
**La soluzione potrebbe essere quella di trasformare il concetto di trasferimento delle conoscenze tecnologiche alle imprese in quello di creazione delle conoscenze all’interno stesso delle imprese, con una stretta collaborazione tra il personale delle strutture di ricerca e quello dell’impresa. In questo modo si fa ricerca e si crea conoscenza partendo dalle reali esigenze dell’impresa la quale, piuttosto che acquistare il brevetto del ricercatore e svilupparlo, gli mette a disposizione le sue strutture per crearlo.
A suo avviso, come si posiziona oggi la ricerca italiana nel contesto europeo? Ci può segnare un punto di forza e una debolezza?
**La ricerca italiana, nonostante le difficoltà, è altamente competitiva, attraente e interessante. Scontiamo problemi normativi, organizzativi e dimensionali non banali che ci penalizzano nei rapporti con nostri omologhi e che in questa fase di competitività scientifica potrebbero fare la differenza. Poi, tra i punti di forza della nostra ricerca mi viene d’emblée la qualità della formazione dei nostri ricercatori, mentre tra quelli di debolezza il sopravanzare di una inutile burocratizzazione conservativa del sistema.
E per quanto riguarda lo specifico del CNR?
**Le segnalo l’esito del Monitoring Report 2012 della Commissione Europea pubblicato lo scorso ottobre. Si tratta di un’analisi delle performance e degli esiti dei progetti di enti di ricerca, atenei e imprese finanziati dall’Unione Europea nel periodo 2007-2012. Il rapporto pone al primo posto tra gli italiani il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con ben 556 partecipazioni. Il CNR segue il CNRS francese, il Fraunhofer tedesco e l’Università di Cambridge e precede, tra gli altri italiani, il centro ricerche Fiat, l’Enea, l’Agenzia per la promozione della ricerca europea, l’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’Istituto superiore di sanità, l’Università di Bologna e l’IIT.
Come CNR coordiniamo uno dei progetti di punta dei prossimi dieci anni per tutta la comunità europea, la cosiddetta flagship Graphene, stiamo rinforzando il posizionamento internazionale dell’ente all’interno della European Research Area, i nostri giovani precari - quando se ne offre l’opportunità - superano molto agevolmente selezioni internazionali. Certo, avremmo bisogno di maggiore stabilità, continuità, autonomia e risorse.
Focalizzando l’attenzione sul comparto energia, quali sono i progetti più interessanti che state seguendo?
**Il CNR è fortemente impegnato in questo settore, e la stessa riorganizzazione dell’Ente sta agevolando gli interventi dei diversi Istituti sulla materia: dalla mappatura e censimento del territorio e delle fonti energetiche allo sviluppo di nuovi applicativi gestionali e nuovi materiali, oltre all’individuazione e agli interventi sulle fonti rinnovabili.
Il settore energetico e ambientale è da sempre presente all’interno del CNR con una notevole progettualità che trova risorse e sostegno in campo nazionale ed europeo. Numerosi i progetti in corso, moltissimi seguiti in stretta collaborazione con il mondo imprenditoriale. Ricordo tra i tanti quelli sulla geotermia, sul solare fotovoltaico di nuova generazione, sulle celle a combustibile, sulle biomasse, sul solar cooling, sull’accumulo dell’energia (fondamentale per lo sviluppo delle rinnovabili) nonché i progetti sulla mobilità sostenibile terrestre e marina, fortemente correlati ai temi dello sviluppo energeticoambientale.
Inoltre il CNR è partner di progetti internazionali pluriennali anche nel campo dell’energia nucleare, come con il progetto ITER, il cui obiettivo è produrre energia da fusione molto più sicura e pulita rispetto a quella da fissione.
Finalmente, da alcuni mesi, l’Italia ha una sua Strategia Energetica Nazionale. A quando una Strategia Nazionale della Ricerca davvero condivisa e coordinata, in grado di coinvolgere i diversi attori senza sovrapposizioni?
**Attenzione, qui non si tratta di avere un ulteriore documento di programmazione e di visione strategica. Abbiano fin troppi programmi e obblighi da produrre e rispettare. Dobbiamo invece iniziare a ragionare in termini di piani industriali, con l’individuazione di obiettivi raggiungibili e misurabili in un contesto sistemico: io faccio questo al 100 per cento, quest’altro all’80 per cento, relazionandomi con questo altro soggetto per la restante percentuale; e tutte queste cose si fanno in questo arco temporale.
Occorre poi fare chiarezza nel sistema della governance e dei rapporti interistituzionali a partire dagli stessi enti di ricerca: per l’attuale segmentazione e disarticolazione delle competenze 22 Enti di ricerca sono vigilati da 8 diversi Ministeri. Per non parlare di quello che accade sul fronte universitario o sotto il profilo contrattuale. Insomma, c’è molto da lavorare. Ma come dicevo all’inizio, sono ottimista per cui sono convinto che presto ci saranno proposte su cui confrontarci.
Qual è, a suo avviso, l’immagine che ha oggi la ricerca (e il ricercatore) presso il grande pubblico?
**È innanzitutto un’immagine positiva che cambia molto anche in funzione della disciplina che viene comunicata. È indubbio che i ricercatori dell’area medica surclassino per interesse, così come quelli dell’area delle scienze della Terra e dello Spazio, per la bellezza delle rappresentazioni e le novità che propongono. Tuttavia, e nel complesso, la capacità di comunicazione dei ricercatori è molto migliorata. Hanno anche aiutato a svecchiare la comunicazione alcuni format televisivi dissacranti e ironici sulla ricerca che, facendo leva su microfatti, innescano curiosità e interesse.
La scienza è bella, intrigante, divertente. Purtroppo ha costruito nel corso dei secoli un’immagine di sé severa, rigorosa, ascetica, che si è codificata nella lezione ex cathedra, che di fatto è solo una parte della comunicazione. La vera scienza vive di informalità, di scherzi, di giocosità, è un grande infinito appassionante gioco.
Purtroppo, soprattutto durante gli anni scolastici a causa dell’organizzazione del nostro sistema formativo, ne diamo un’immagine distorta che allontana molti giovani...
**È vero. Quelli che non si fanno spaventare, però, quando iniziano a fare ricerca scoprono la straordinarietà di questo mondo e si sobbarcano con piacere di sacrifici inenarrabili pur di continuare a fare questo mestiere di libertà, passione, curiosità.
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