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È pericoloso fare finta di niente Stampa E-mail
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Drilling



Confesso di provare un senso di profonda frustrazione ogni volta che mi trovo a leggere commenti e analisi sul mercato petrolifero internazionale. Sembra che i ragionamenti sviluppati vengano da un’altra epoca storica e non riescano a contenere gli elementi di profonda trasformazione che sono in essere ormai da molti anni. Si continua a parlare di evoluzione della domanda e dell’offerta, delle logiche e del peso dell’OPEC o dell’Arabia Saudita sulla dinamica dei prezzi petroliferi. Si scrive soltanto quello che gli addetti ai lavori vogliono leggere e che non disturba il loro modello interpretativo, ma soprattutto non obbliga a guardare la drammatica realtà di una crisi energetica che ormai sta spazzando via quanto rimane della faraonica costruzione di infrastrutture industriali.


Ne ho parlato in altri interventi, ma l’aggravarsi della situazione impone un richiamo forte alla centralità della crisi del sistema di produzione dell’energia. Mi riferisco in particolare alla drammatica, prossima scomparsa dell’industria italiana della raffinazione (dopo la totale scomparsa di ogni attività, persino di ricerca tecnologica, nel settore nucleare). Leggendo la cronaca, ogni giorno vediamo che le varie roccaforti del sistema sono in profonda crisi e le azioni pianificate dalla proprietà pubblica e privata di queste aziende sono quelle della vendita/svendita a entità straniere o la chiusura.


È un quadro generalizzato, pienamente in linea con il processo di de-industrializzazione del Sistema Italia, che vede quasi perfettamente allineati sia gli imprenditori privati sia quelli pubblici. I tempi dei grandi manager pubblici che hanno creato la grande industria italiana del dopoguerra sono lontanissimi. Di Enrico Mattei non si vede nemmeno l’ombra. Le giustificazioni apportate da chi decide le chiusure degli impianti di raffinazione sono sempre gli stessi luoghi comuni validi trent’anni fa, quando, dopo l’avvio dei processi di diversificazione energetica successivi ai primi shock petroliferi, fu necessario ridurre la capacità degli impianti di raffinazione semplice (topping e reforming) per concentrarsi nella costruzione di una capacità di conversione di alta qualità.
Eravamo negli anni ‘80 e questa operazione di chiusura e rilancio del settore fu realizzata sia dal settore privato sia da quello pubblico. La gestione delle conseguenze sociali fu fatta in modo condiviso con le rappresentanze dei lavoratori. Ciò che determinò la coesione fu la condivisione di uno scenario energetico ed economico a livello mondiale e nazionale, che imponeva i cambiamenti. Oggi, sembra di assistere ad una commedia teatrale in cui gli attori fanno finta di recitare una parte che ha il solo scopo di essere gradita al pubblico in sala. C’è un verbo inglese che esprime benissimo il concetto: pretending, che nell’accezione anglosassone vuol dire far finta, curare la sceneggiata risultando convincenti con le argomentazione e le apparenze. La memoria “corta” aiuta poi a dimenticare la sceneggiata del giorno prima. [...]



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