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Derchi: “Fiducia nell'eolico, nonostante il vento... sfavorevole” Stampa E-mail
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L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI ERG RENEW


di Davide Canevari


In Italia, come noto, l’eolico è la fonte che ha dato il via allo sviluppo delle rinnovabili, mettendo a segno tassi di incremento di assoluto rilievo. Nonostante questo storico primato, il futuro (per lo meno a breve termine) non sembra privo di criticità.
Nuova Energia ha incontrato Massimo Derchi, amministratore delegato di ERG Renew, primo operatore nell’eolico in Italia, per fare il punto sul settore in generale, e sulle strategie aziendali del Gruppo genovese nello specifico
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Ingegner Derchi, a che punto siamo con l’eolico in Italia?
**Oggi nel nostro Paese le installazioni superano di poco gli 8 GW, quando il Piano Energetico Nazionale prevede 12 GW al 2020. Negli ultimi tre-quattro anni il settore ha beneficiato di una crescita costante e robusta (anche se non con i ritmi impressionanti del fotovoltaico) attorno ad 1 GW/anno, e questo rendeva effettivamente plausibile il raggiungimento di quel target.
Il percorso, tuttavia, si è bruscamente interrotto con l’entrata in vigore della nuova normativa nel 2012. Un primo effetto (negativo) riguarda il contingentamento con il limite massimo stabilito in 500 MW/anno per il 2013 e il 2014. A questo va aggiunta anche la riduzione degli incentivi dovuta al meccanismo delle aste per il quale solo gli asset di elevata qualità possono avere un ritorno industriale ragionevole.


Questi numeri, però, contraddicono quelli contenuti nel Piano Nazionale e ribaditi dalla SEN. Di questo passo è impossibile raggiungere il traguardo dei 12 GW.
**L’intenzione della normativa era quella di rallentare in questi primi anni per poi imprimere una nuova accelerazione a ridosso del 2020. In realtà, l’avvento delle aste ha creato non poco sconcerto; la prima, che ERG Renew si è aggiudicata, non ha raggiunto i volumi di domanda previsti e la seconda, adesso, è bloccata da una selva di reclami. Il sistema dunque non si è dimostrato fluido e, anzi, è stato caratterizzato da un’elevata incertezza.
Questo non ha fatto che confermare le perplessità che molti operatori del settore avevano già evidenziato quando si è cominciato a parlare dei meccanismi delle aste.


Un possibile suggerimento?
**Noi fummo tra quelli che, ad esempio, sottolinearono la necessità di creare meccanismi di accesso alle aste più stringenti, per far sì che potessero accedervi unicamente i veri investitori: “Si partecipa solo se si vuole davvero costruire e si chiede un incentivo solo se si possiede un progetto industriale, sostenibile, finanziabile, in grado di stare in piedi”.


Negli ultimi anni in Italia sembra che la scena delle rinnovabili sia stata calcata solo dal fotovoltaico. Quali sono le differenze fra gli investimenti effettuati nell’eolico e nel fotovoltaico?
** In buona misura il fotovoltaico è essenzialmente un investimento finanziario. Le competenze tecnologiche richieste per realizzare e poi gestire un impianto fotovoltaico sono meno complesse rispetto a quelle necessarie per le altre rinnovabili, mentre gli incentivi sono molto alti. Proprio per questa ragione si tratta di un investimento classico e appetibile per un soggetto finanziario. E, non a caso, le utility energetiche hanno un peso marginale sul totale del fotovoltaico installato in Italia.
Per altro, il solare si presta ad effetti di scala essendo già appetibile per realizzazioni da pochi kW, mentre l’ordine di grandezza dell’eolico ha qualche zero in più.


In un settore dove gli incentivi si stanno riducendo, lo spazio per i player è sempre più contenuto e ancor più si riduce la platea dei possibili competitor. La vostra risposta?
** Noi abbiamo scelto di puntare sin dall’inizio sull’eolico, la soluzione con il maggiore contenuto tecnologico. Nel nostro percorso di crescita abbiamo internalizzato tutte le competenze lungo l’intera filiera, dalla progettazione alla gestione e manutenzione degli impianti, una volta che questi sono in esercizio. Crediamo che sia un percorso logico in un settore infrastrutturale maturo, dove i margini si riducono e il know-how può fare la differenza. In tal senso si colloca la recente acquisizione della società che gestiva l’O&M dei parchi acquisiti da GDF, grazie alla quale ERG Renew ha acquisito competenze strategiche di gestione degli impianti.


C’è una parte di opinione pubblica che considera “poco adatta” per l’Italia la tecnologia eolica, essendo già il nostro Paese ad alto tasso di urbanizzazione e di occupazione del suolo. Cosa risponde a queste affermazioni?
**Italia, Germania e Spagna sono sullo stesso ordine di grandezza, in termini di superficie complessiva. Nel nostro Paese la potenza globale eolica installata è di un quarto rispetto a quella dei Tedeschi (8 GW contro oltre 30) e di circa un terzo rispetto a quella degli Spagnoli (25 GW). Quindi, una prima possibile risposta è che da noi l’occupazione è comunque sensibilmente inferiore rispetto ai nostri più diretti competitor europei. In realtà ci potrebbe essere una risposta ancora più efficace e in grado di conciliare l’esigenza di incrementare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, senza sacrificare ulteriore territorio.


In una parola?
**Repowering! In Italia una parte tutt’altro che marginale del parco installato è piuttosto datata; ha quindi una potenza limitata e adotta una tecnologia superata rispetto ai più moderni standard. Dieci anni fa la turbina tipo aveva una potenza compresa tra i 660 e gli 850 kW; oggi la taglia di riferimento spazia dai 2.000 ai 3.000 kW; e nel corso di un anno ha un numero medio più elevato di ore di funzionamento. Quindi, attraverso il repowering si potrebbe accrescere notevolmente la produzione a parità di territorio oggi occupato; inoltre i nuovi impianti potranno essere in grado di fornire, almeno in parte, i servizi ancillari alla rete necessari ad assicurare il funzionamento del sistema elettrico in condizioni ottimali di sicurezza e stabilità.


Ci può dare un ordine di grandezza del “fenomeno” obsolescenza in Italia?
**Poco meno di 800 MW (in termini relativi, circa il 9 per cento) ha superato i dieci anni di vita, mentre oltre 2.900 MW (il 35 per cento dell'installato globale) è nella fascia compresa tra i 5 e i 10 anni. La parte restante – nel complesso più di 4.600 MW – è stata realizzata a partire dal 2008. Volendo, quindi, le attività di repowering avrebbero un’area di intervento piuttosto ampia.


Cosa impedisce di passare dalla teoria alla pratica?
**Il quadro normativo e regolatorio, che non supporta sufficientemente chi sceglie di investire nel repowering.


Qualcuno lo ha fatto notare ai decisori in ambito politico?
**Certamente, e tra quei qualcuno ci siamo anche noi. Abbiamo contatti in corso con le Istituzioni e siamo fiduciosi che il tema sarà oggetto di attenta valutazione.


Da imprenditore, come valuta l’attuale quadro normativo di riferimento del settore, per quanto riguarda l’iter per la realizzazione di una nuova wind farm?
**Penso basti ricordare che oggi un iter autorizzativo mediamente dura 4 anni. Poi, quando arrivi al traguardo, ti “accorgi” che anche il materiale e le soluzioni scelte all’inizio del progetto hanno 4 anni. Sono quindi già superate da più aggiornate tecnologie.


Ma questa, purtroppo, non è una novità.
**È vero. Solo che prima aspettavi 4 anni, ma poi potevi iniziare a costruire. Adesso dopo 4 anni di attesa vai in asta e vedi cosa succede. Se almeno ci fosse una elevata probabilità di successo, potrebbe valere la pena assumersi questo rischio ulteriore; ma stante l’aleatorietà attuale...
Infatti, pur continuando a costruire in Italia, come ERG Renew non vediamo grandi prospettive di business per l’immediato futuro. Vorrei anche ricordare che l’Italia è l’unico Paese in cui occorre chiedere autorizzazioni e permessi anche per effettuare un intervento di manutenzione!


Parliamo, dunque, della vostra realtà aziendale.
**Nel 2008 in portafoglio avevamo 200 MW di eolico; oggi siamo a circa 1,3 GW di cui 1 GW in Italia e il resto distribuito tra Francia, Germania, Bulgaria e Romania. Nell’eolico siamo i primi operatori in Italia e tra i dieci principali in Europa. Questa rapidissima crescita è stata affiancata da una riduzione della nostra presenza nel refining. Quindi c’è stato un progressivo spostamento del nostro focus aziendale proprio nella direzione delle rinnovabili, che oggi pesano per il 50 per cento sull’EBITDA del Gruppo. Complice la contrazione dei margini nel downstream, oggi la produzione di energia elettrica (anche da fonti convenzionali) genera quasi la totalità degli utili del Gruppo.


Quando e come è nata l’opportunità di investire nel settore eolico?
**L’opportunità determinante si è presentata nel 2006 con l’acquisizione di Enertad. I primi anni ci sono serviti per entrare nel business e comprenderne le dinamiche industriali per integrarlo nelle nostre attività. Per quanto riguarda più strettamente ERG Renew, dal 2008 ad oggi possiamo sintetizzare tre fasi distinte. Un primo momento di crescita, stimolato dall’acquisto di impianti già esistenti (soprattutto da IVPC) e dalla costruzione di nuovi. Il “salto di qualità” con l’acquisizione di IP Maestrale da GDF Suez che ci ha poi permesso di raddoppiare la nostra dimensione sul mercato italiano, creando le condizioni per l’acquisizione anche delle attività di O&M. Il terzo step è stato, ma soprattutto sarà, quello dell’espansione all’estero.


E adesso è il momento di ingranare la quarta marcia...
**Sì, che per noi significa espanderci ulteriormente all’estero (le prospettive in Italia, per i motivi detti, sono al momento piuttosto limitate) sondando anche nuovi mercati in America Latina (Brasile e Messico) e in Europa (ad esempio in Polonia). L’attuale Piano industriale prevedeva il raggiungimento della soglia di 1,4 GW per fine 2015, obiettivo che sarà praticamente raggiunto ad inizio 2014, con quasi due anni di anticipo rispetto al Piano, quando entreranno in esercizio i parchi attualmente in costruzione sia in Italia sia in Romania. A fine 2013 presenteremo il nuovo Piano industriale la cui linea guida sarà quella di una maggiore spinta verso l’internazionalizzazione.


Perché le rinnovabili nella vostra strategia sono declinate solo in direzione dell’eolico?
**All’inizio si è trattato di cogliere un’opportunità che poi si è tradotta in una strategia aziendale. Infatti, come già accennato, ci siamo convinti che focalizzarci su una singola tecnologia e concentrare su questa i nostri investimenti fosse la scelta più efficace, per un operatore delle nostre dimensioni e per il territorio sul quale andavamo ad operare. Oggi siamo al 100 per cento eolici, se si esclude una presenza “simbolica” nel fotovoltaico con un solo MW.
Con questo non escludiamo a priori la possibilità di allargare il nostro sguardo ad altre tecnologie, come la termovalorizzazione dei rifiuti.


Si parla sempre più spesso della necessità di integrare l’offerta delle rinnovabili e delle fonti tradizionali e di migliorare la convivenza tra le fonti discontinue e gli impianti base load. Concretamente significa...
**Sull’accumulo credo che non ci siano ancora i numeri. Le simulazioni che abbiamo effettuato ci dicono che oggi l’investimento non è tale da ripagarsi. Anche la programmabilità è un tema delicato e ancora in fieri. In generale, crediamo sia corretto che le fonti aleatorie debbano dedicare al problema la massima attenzione. L’importante è che ci sia una consapevolezza sui margini di errore, ci sia una gradualità nell’adozione dei bonus e dei malus per gli sbilanciamenti, ci sia la possibilità di fare aggregazioni zonali. E, soprattutto, che si accetti il fatto che non si potrà mai arrivare al livello di programmabilità del termoelettrico.


Uno dei problemi più sentiti in Italia riguarda il superamento della Sindrome Nimby. Nella vostra esperienza diretta come avete scelto di gestire il rapporto con il territorio?
**Il rapporto con il territorio è fondamentale. Come Gruppo abbiamo da sempre adottato una politica di sostenibilità tout court. La stessa scelta di internalizzare tutta la filiera, cui abbiamo fatto cenno in precedenza, va in quella direzione. Propone infatti al territorio e al cittadino un interlocutore unico, dal progetto iniziale alla messa in esercizio dell’impianto.


Insomma, voi ci mettete la faccia.
**Ci mettiamo la faccia, ma anche le royalty e la copertura dell’IMU. Soprattutto nei piccoli Comuni l’eolico ha portato e porta ricchezza. Teniamo infine conto che con i recenti sviluppi ERG Renew nel 2013 avrà incrementato i propri organici di circa 180 persone, valorizzando al meglio le loro professionalità, all’interno di un Gruppo con prospettive di crescita sostenibile.


Ma l’Italia rappresenta un caso “unico” nel panorama europeo?
**Innanzitutto va detto che l’Italia non è una cosa unica. Ciò detto, ci sono aree nelle quali il dialogo è più difficile e altre che sono decisamente più aperte. L’incertezza e i cambiamenti regolatori sono temi che purtroppo accomunano la maggioranza dei Paesi europei. Tuttavia, la nostra esperienza all’estero ha mostrato in generale un atteggiamento più disponibile. In particolare, in Romania l’accoglienza è stata molto positiva e non abbiamo avuto alcun problema sia nella fase autorizzativa sia durante la realizzazione. E questo, purtroppo, non fa che “spingere” sempre di più la nostra attenzione di imprenditori al di fuori dell’Italia. Già da noi il quadro regolatorio è complesso e difficile; se poi a livello locale si creano ulteriori difficoltà e rallentamenti...

 
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