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Che cosa lega i Fratelli Musulmani al prezzo della benzina? Niente! Stampa E-mail
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Confesso che trovo un po’ divertenti i commenti pubblicati dalla stampa specializzata e dai giornali a grande diffusione per “spiegare” le ragioni dell’aumento del prezzo della benzina. Sono stati scomodati nientemeno che i Fratelli Musulmani e i disordini in Egitto. Sono convinto che chi ha scritto queste cose non si è nemmeno preso la briga di verificare qualche numero di base, disponibile a tutti sui siti internet specializzati. Che cosa possono aver causato i disordini nelle principali città egiziane? Perché il bilancio petrolifero europeo sarebbe stato toccato da questi disordini?


Guardiamo qualche numero nei bilanci petroliferi della IEA (International Energy Agency). L’Europa produce circa 130 milioni di tonnellate di benzina/ anno e ne esporta circa 65 milioni. L’Egitto, per coprire i suoi fabbisogni, produce circa 4,5 milioni di tonnellate/ anno di benzine e ne importa poco meno di 500 mila tonnellate.
Poiché la benzina prodotta deriva dalla raffinazione di greggio egiziano nelle raffinerie del Paese (all’interno di un sistema di prezzi “protetti”), il mercato internazionale interfaccia con questo sistema solo per le quantità aggiuntive importate, ovvero volumi che sono pari allo 0,00038 per cento della produzione e allo 0,00077 per cento delle esportazioni europee. In altre parole, quantitativi molto marginali.
Inoltre, dobbiamo ricordare che l’Egitto non è la Libia. L’Egitto esporta meno di 2,5 milioni di tonnellate/anno di greggio, la maggior parte verso l’India e l’Estremo Oriente, mentre la Libia, al momento della crisi, esportava 52 milioni di tonnellate/anno di greggio, prevalentemente verso l’Europa.


Allora cosa può succedere di tanto sconvolgente da far trasformare queste cifre trascurabili in numeri significativi per il bilancio petrolifero europeo? Intanto diciamo subito che, dal punto di vista del petrolio, finora non è successo nulla e che, quindi, gli aumenti di prezzo non sono dovuti ad alcun cambiamento specifico nel rapporto domanda/offerta. Potrebbero essere il risultato di aspettative di futuri avvenimenti sconvolgenti.
Concretamente, quali potrebbero essere questi eventi? I soli che potrebbero avere un impatto vero sull’andamento dei bilanci petroliferi sarebbero quelli che vedessero la trasformazione degli scontri locali in Egitto in un conflitto regionale di più vasta portata e che riporti al blocco delle esportazioni dalla Libia.


Il resto, pur essendo tragico per le vite umane coinvolte, non ha alcuna valenza dal punto di vista energetico nel breve periodo. Se si considerano le esportazioni verso il Mediterraneo, avrebbe dovuto avere un maggior impatto la crisi siriana. Anche se le folle abbandonassero Piazza Tahrir e marciassero verso il Mar Rosso e verso il Sinai o verso il Western Desert ad assaltare i campi petroliferi oppure andassero ad invadere le raffinerie, oggi presidiate dai militari, non muterebbe il bilancio petrolifero del Mediterraneo.
Al più si produrrebbe una riduzione della produzione di benzine e un blocco delle importazioni (terminali di importazione bloccati e soprattutto difficoltà a pagare i fornitori). Il contraccolpo in Europa sarebbe una diminuzione delle esportazioni dello 0,00077 per cento e quindi un corrispondente eccesso di offerta sul mercato. Assolutamente nulla. Comunque, l’impatto andrebbe nella direzione opposta a quello proclamato da tutti, ovvero minori esportazioni, eccesso di offerta sui mercati domestici e discesa dei prezzi. Sembra una riedizione della favola di Esopo del lupo e l’agnello. Ti mangio comunque.


Allora, perché questo rialzo dei prezzi all’inizio di luglio? Purtroppo siamo di fronte ad un evento che ormai si ripete periodicamente da qualche anno. Fine giugno è una data importante per la comunità finanziaria. Tutte le società quotate in Borsa presentano la semestrale agli azionisti e agli analisti finanziari. Per mantenere alto il valore delle azioni è fondamentale presentare i conti in ordine, riducendo le posizioni di rischio e incassando i profitti delle attività, relativi ai mesi precedenti.
Queste forti oscillazioni dei prezzi sul mercato finanziario del petrolio consentono a chi è in grado di “guidarlo” attraverso la movimentazione di miliardi di dollari al giorno, di aggiustare le proprie posizioni di bilancio per la chiusura del rapporto di bilancio semestrale. L’evento sembra essersi ripetuto con la stessa dinamica nel 2011 e nel 2012. Mentre nel 2011 l’evento chiave su cui si è fatto leva per “motivare” gli investitori ad agire era stata la crisi libica, nel 2012 ha fatto gioco la crisi iraniana.
Vale la pena ricordare lo sviluppo di alcuni eventi passati. La crisi libica del 2011 ci ha mostrato una vicenda molto originale. All’inizio di gennaio, ai primi disordini di piazza, ma con il petrolio che veniva esportato regolarmente, il prezzo del petrolio è iniziato a salire dai 90 dollari/barile fino ai 125 dollari/barile di fine marzo. E qui viene il paradosso.


A metà aprile, proprio quando si cominciava a manifestare la mancanza fisica di greggio libico, Goldman Sachs, contro ogni logica apparente, lanciava il messaggio di “vendi tutto” ai propri clienti principali, provocando una discesa del prezzo di quasi 15 dollari/ barile. A fine giugno, la IEA chiedeva ai Paesi membri di ridurre le scorte (decisione puramente nominale, ma che orienta i mercati) determinando una ulteriore discesa del prezzo al di sotto dei 100 dollari/barile. I due interventi provocarono in sequenza una discesa del prezzo di quasi 30 dollari/barile. Da luglio i prezzi ripresero a salire senza motivi particolari.
Similmente, nel 2012 ci ha stupito la crisi iraniana. L’annuncio a gennaio 2012 delle sanzioni europee in aggiunta a quelle americane, previste per l’inizio di luglio 2012, ha giustamente provocato un trend di rialzo dei prezzi dai 100 dollari/barile di inizio anno fino a sfiorare i 130 dollari/barile in primavera. Non vorrei ricordare qui le analisi catastrofiche dei vari analisti, che prevedevano il crollo della produzione iraniana e l’impazzimento dei prezzi, specialmente in Europa.
Al contrario, da aprile in poi è iniziata una discesa costante del prezzo fino al valore minimo di 88 dollari/barile a fine giugno. Poi, ai primi di luglio è ripartita la corsa verso l’alto dei prezzi. Già il 4 luglio il prezzo rimbalza a distanza di pochi giorni a 101,85 dollari/ barile, con un rialzo di 13 dollari in una settimana.


Anche questa volta, il cambiamento della direzione dei prezzi fu influenzato da una vicenda bancaria, ovvero la significativa perdita alla JP Morgan di alcuni miliardi di dollari nelle attività di trading finanziario, che si è tradotta in vendite di titoli (o la chiusura di posizioni) acquisite precedentemente e quindi in un ribasso dei prezzi a fine semestre. Da luglio si ripartì con gli acquisti e con il rialzo dei prezzi. Quest’anno, l’andamento dei prezzi è stato abbastanza più controllato, senza grandi fluttuazioni. Le inchieste contemporanee della UE e degli USA sulle manipolazioni del mercato petrolifero possono non essere state inutili. Comunque, abbiamo avuto, anche se in modo più contenuto, la solita depressione a fine giugno e il solito rialzo di inizio luglio.
Davvero non si capisce perché chiamare in causa gli eventi egiziani per giustificare qualche manovra sul prezzo della benzina. Se proprio si vuol scomodare il mercato internazionale per giustificare elementi di tensione su questo prodotto, va ricordata la mancanza di componenti ottanici nel mercato americano, a causa della ridotta disponibilità di etanolo, a seguito della cattiva stagione agricola del 2012.
Ma qui torneremmo a parlare di cose serie e di problemi strutturali e quindi è meglio evitarli. Come si fa a spiegare che la benzina in Europa è cara perché il raccolto di granturco negli Stati Uniti è andato male? E che non sono stati fatti gli investimenti che servivano? Meglio parlare di Egitto. Tutti hanno guardato le notizie date dai media, che ci hanno regalato i soliti cattivi, su cui è facile scaricare la colpa: estremismo islamico e prezzi del petrolio alti sono sempre stati due facce della stessa medaglia. Diamine, lo sanno tutti dagli Anni ’70!

 
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