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PAUSA-ENERGIA
 
Anche il gas meriterebbe le "attenzioni" che non ha Stampa E-mail
di Edgardo Curcio

La ricerca industriale o ricerca applicata, si sa, serve a far progredire un settore o un comparto, a renderlo più forte e competitivo, talvolta con una innovazione di processo talvolta con un miglioramento di prodotto e talvolta con un riequilibro di sistema. Pertanto se un settore è in crisi oppure stenta a crescere, oltre a esaminarne le cause è buona norma accrescere la ricerca di sistema e l’innovazione al suo interno. Ciò si può fare con fondi pubblici o con risorse che vengono dal settore privato. Normalmente l’intervento pubblico è maggiore se la componente privata è in difficoltà, ossia non produce profitti e quindi ha scarse possibilità di destinare risorse alla ricerca applicata. Ora, nel settore energetico ci troviamo di fronte ad un paradosso.

"ANCHE SE IL SETTORE ENERGETICO ITALIANO
È IN DIFFICOLTÀ
NON SI PUÒ CERTO DIRE
CHE MANCHI DI RISORSE
DA DESTINARE
ALLA RICERCA"

Le imprese energetiche nazionali sono da alcuni anni in testa alla graduatoria delle aziende che realizzano e distribuiscono più utili. Si calcola, ad esempio, che solo nel 2005 le grandi imprese energetiche italiane abbiamo prodotto utili per oltre 30 miliardi di euro. Da notare che una parte di questi profitti vengono trasferiti allo Stato, sia sotto forma di dividendi (Eni- Enel) sia di tasse sugli utili. Quindi, anche se il settore energetico italiano è in difficoltà per tutta una serie di motivazioni che è inutile ricordare, non si può certo dire che manchi di risorse da destinare alla ricerca.

Quest'ultima invece da tempo è in costante declino in tutti i comparti; tant’è che l’Italia risulta nelle ultime posizioni in Europa per spesa di ricerca sul valore aggiunto nel settore dell’energia. Se un po’ di ricerca si fa, questa è ascrivibile sopratutto al settore pubblico, anche se al suo interno è difficile verificare quanto è veramente spesa di ricerca e innovazione e quanto è invece spesa di amministrazione e di gestione di Enti e Istituti che poco fanno per sviluppare reali processi e/o prodotti innovativi nel settore energetico. Ma quello che maggiormente colpisce nell’analizzare le motivazioni di un così scarso impegno nella ricerca del settore energetico in Italia è il fatto che anche nel pubblico, così come nel privato, di fatto non mancano le risorse finanziarie. Infatti (contrariamente a quanto si può pensare), l’Autorità per l’energia elettrica e il gas preleva da tempo sulla tariffa elettrica che paga il consumatore, una quota (12 euro l’anno) destinata alla ricerca di sistema per il settore elettrico. Esiste poi da tempo una proposta per applicare il medesimo prelievo anche sulla tariffa gas (trasporto), sempre per destinarlo a ricerca nel medesimo comparto.

All’inizio la quota pagata in bolletta elettrica andava alla ricerca Enel, poi al Cesi - centro di ricerca nato da una “costola” dell’Enel; a partire però dal 2004, poiché il Cesi è considerato un Ente privato e le norme dell’Unione europea non prevedono sussidi pubblici a soggetti privati, l’Autorità per l’energia ha decretato la sospensione del prelievo in bolletta (componente A5). Intanto si erano accumulati presso la Cassa Conguaglio del Settore Elettrico 150 milioni di euro che non potevano essere spesi e che giacciono in Banca in attesa che il Cesi si trasformi in un Ente pubblico e si riesca a far decollare un programma di ricerca condiviso. In realtà il programma c’è, perché è stato scritto due anni fa dal Comitato degli Esperti (Cerse) nominato dal precedente Governo, ma siccome tale Comitato è scaduto si attende la nomina di un altro per farlo partire; oppure per cambiarlo. In attesa di questo nuovo Comitato, ma anche di un chiarimento su chi dovrebbe poi gestire materialmente i fondi (Cassa Conguaglio del Settore Elettrico, GSE, Autorità per l’energia, eccetera) in Italia non si fa nulla per far decollare una seria ricerca nel settore elettrico e in subordine anche in quello del gas.

Su quest’ultimo comparto vale la pena attirare l’attrazione: salvo un po’ di ricerca promossa dall’Eni, non si fa quasi nulla né da parte pubblica né da parte privata. Da parte pubblica perché non è stato ancora formalizzato un prelievo in tariffa gas, ma anche perché manca la struttura di gestione dei fondi. Da parte privata perché le imprese che operano guardano tutte al breve termine e quindi ai problemi contingenti (ad esempio, l’emergenza gas); nessuna si preoccupa di sviluppare sistemi innova-tivi nel settore trasporto, vendita, stoc-caggio e impiego del gas naturale nel nostro Paese. Ricordo a tal proposito che in Francia, Paese certamente molto più indietro del nostro in quanto a uso del gas, sono stati brevettati recentemente alcuni dispositivi per rifornire di metano le auto all’interno di condomini o di abitazioni private, utilizzando il gas che già arriva per il riscaldamento domestico, misurato con i relativi contatori. Ricordo anche che la riduzione dell’impatto ambientale nei processi e nell’uso dei combustibili fossili richiede un grande sforzo di ricerca e di innovazione lungo tutta la filiera di impiego, e che migliori tecnologie energetiche posso-no ridurre del 20 per cento e anche più il consumo e quindi la domanda di energia a livello totale in Italia. Pertanto è chiaro che la ricerca nel campo energetico è fondamentale, non solo perché questo settore è in crisi da tempo a causa dell’insufficienza di risor-se che il Paese ha e a causa di scelte errate di politica energetica, ma anche perché un miglioramento nei processi e nelle tecnologie avrebbe una forte ri-caduta sulle emissioni e quindi sulla possibilità di conciliare sviluppo energe-tico e protezione ambientale. Ciò po-trebbe favorire da un lato l’accettazione sociale di nuove infrastrutture ener-getiche nel Paese, e dall’altro migliorare la competitività del nostro apparato in-dustriale ed economico in vista di future sfide all’interno dell’Europa.
 
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