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Paganetto: "Ambiente ed energia? La ricerca italiana accetta la sfida" Stampa E-mail
di Davide Canevari

Troppo spesso la ricerca italiana è posta d’ufficio dietro la lavagna; là dove un tempo - prima delle innumerevoli riforme scolastiche - si mandavano a riflettere gli studenti più svogliati. Le cronache parlano di un settore in crescente difficoltà, le Università minacciano la bancarotta, la Finanziaria chiude ulteriormente rubinetti già piuttosto avari, le classifiche sulla competitività ci avvicinano più ai Paesi del Centro Africa che a quelli del Centro Europa. A rincarare la dose, un recente articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Science che, senza mezzi termini, non nasconde lo scetticismo del Vecchio Continente sul futuro del Bel Paese: “Continuando di questo passo la scienza italiana rimarrà isolata in Europa”. La bocciatura pare dunque scontata. Eppure Luigi Paganetto, Commissario straordinario dell’Enea, sembra andare oltre le suggestioni degli eccessivi pessimismi. E vede rosa. Magari un rosa pallido, da rivitalizzare e ravvivare; ma non il nero pece così caro ai mass media.


"CI SONO POSSIBILI LACUNE
MA ALLO STESSO TEMPO
OCCORRE RIBADIRE
L'ESISTENZA DI COMPETENZE
RICONOSCIUTE A LIVELLO INTERNAZIONALE
"

Professore, proviamo a dare un voto alla ricerca italiana nel settore energetico e ambientale?
La sintesi estrema di un singolo numero è molto difficile, forse fuorviante. La ricerca italiana in generale - e quella dell’Enea più nel dettaglio, come ha confermato una recente indagine del Politecnico di Milano - ha punti di forza e di debolezza. Ci sono possibili lacune, ma allo stesso tempo occorre riconoscere l’esistenza di competenze riconosciute a livello internazionale, consolidatesi negli anni, di cui sono titolari le Università, il Cnr (si pensi alle pile a combustibile e ai motori) e naturalmente l’Enea.

Come si è evoluta la ricerca di settore negli ultimi anni? Dove abbiamo perso qualcosa e dove, invece, guadagnato in know how?
In passato la ricerca vedeva tra gli attori impegnati sul campo anche Enel ed Eni, con un ruolo certamente maggiore rispetto ad oggi. Negli ultimi anni, con la liberalizzazione, i due ex monopolisti si sono un po’ defilati. Detto questo, possiamo ancora vantare una capacità riconosciuta a livello internazionale sui grandi temi della fusione (come dimostra l’accordo sottoscritto per il progetto Iter, un programma, nel suo complesso, da 10 miliardi di euro). Le celle a combustibile e i nuovi materiali sono tematiche che ci vedono impegnati ad alto livello. Un’altra sfida che ha assunto negli ultimi anni crescente importanza è quella dei cambiamenti climatici, per un verso, e della riduzione della dipendenza dai combustibili fossili per l’altro. L’esigenza di rispondere a questi due elementi porta necessariamente a concentrare l’attenzione sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica. Due aspetti che vedono l’Enea impegnata in prima persona, con risultati di prestigio.

Proviamo a scendere nel dettaglio delle scelte strategiche dell’Enea. Come sono state selezionate le aree sulle quali oggi siete impegnati?
Siamo partiti dalla domanda attuale (e da quella potenziale) di ricerca, tenendo conto delle scelte nazionali ed europee in tema di energia e ambiente (energia distribuita, rifiuti, uso sostenibile del territorio, fonti rinnovabili, carbone pulito, efficienza energetica, ecobuilding), dell’esigenza di presidiare alcune aree a forte innovazione tecnologica (quali, ad esempio, le celle a combustibile o la superconduttività), dei grandi progetti internazionali (a partire dalla fusione nucleare) e infine delle potenziali applicazioni in settori trasversali delle competenze tecnologiche così maturate. Penso, ad esempio, ai beni culturali, alla salute, all’agroalimentare. Sono nati così 18 progetti, raggruppati in quattro grandi aree: clean energy; energia, ambiente e territorio; tecnologie emergenti; ricadute delle nostre tecnologie.

Veniamo al nucleare. Un tempo l’acronimo stesso dell’Enea richiamava l’idea di energia atomica. Oggi, invece, conduce col pensiero direttamente alle fonti rinnovabili…
Certamente c’è stata nel tempo una riduzione delle professionalità dedicate al nucleare di prima generazione. Non dimentichiamoci, però, che ancora oggi l’Enea ha per legge il ruolo di presidio, ovvero ha il compito di garantire al Paese l’aggiornamento e la competenza necessari per stare al passo con l’evoluzione della tecnologia nucleare, pur avendo l’Italia fatto in passato le sue scelte politiche. In questa fase storica, a livello mondiale il nucleare vive un momento di ripensamento generalizzato; la stessa Iea prevede che nei prossimi anni la quota di energia prodotta da fonte nucleare non varierà rispetto ad oggi. A livello di ricerca c’è comunque maggiore fermento e si pensa alle future generazioni di impianti, la cosiddetta Quarta generazione. Come Enea siamo presenti in tutti questi gruppi di attività. Ancora maggiore è la nostra attenzione per la fusione, che pensiamo sia la vera tecnologia del futuro, anche se il traguardo è ancora lontano.

Altro aspetto chiave, quello dell’accettabilità sociale. Che ruolo vuole giocare l’Enea?
Certamente un ruolo non banale. Come Ente di ricerca pubblico l’Enea gode di un’autonomia che le consente di dare valutazioni indipendenti; può quindi diventare il punto di riferimento per il cittadino quando si tratta di scegliere tra soluzioni alternative o quando occorre installare un nuovo impianto che abbia le caratteristiche di minor impatto possibile sul territorio. Un centro di competenze super partes che aiuti a capire se le scelte delle pubbliche amministrazioni o dei soggetti imprenditoriali privati possono avere delle ricadute (e quali) sull’utente finale. In questi ultimi anni, devo riconoscerlo, la mission dell’Enea non è stata definita e comunicata in modo così chiaro da poter essere facilmente percepita da tutti. Questo causava qualche incertezza sul suo ruolo e sulle sue potenzialità.

In effetti per un certo periodo l’Enea pareva quasi in crisi di identità…
Ce ne siamo accorti, e abbiamo cercato di porre rimedio ridefinendo progetti, vision, attività, network di collaborazioni attraverso azioni su scala nazionale e a livello internazionale. Questo per poter esplicitare in maniera chiara e trasparente chi siamo e cosa

"ABBIAMO DATO MOLTA IMPORTANZA
AL RAPPORTO CON LE REGIONI EUROPEE
E ITALIANE, CON LE ISTITUZIONI
PUBBLICHE E PRIVATE"

siamo chiamati a fare. Convinti del fatto che un ente di ricerca sia definito anche dalla rete di collaborazioni, partnership, accordi che ha in atto, abbiamo dato molta importanza al rapporto con le Regioni europee e italiane, con le istituzioni pubbliche e private (ad esempio, Confindustria), con altre strutture di R&S. Il tutto con l’intento finale di rendere meglio percepibile e definita la nostra mission. Allo stesso tempo, come detto in precedenza, abbiamo orientato la nostra attenzione verso tematiche che coinvolgono direttamente il cittadino e che sono percepite dallo stesso contigue ai suoi interessi: dai biocombustibili al risparmio, dalla generazione distribuita sul territorio alla sicurezza delle reti e alla bioedilizia. Questo è il nostro attuale identikit. Ogni volta che assumiamo una posizione in merito a un nuovo impianto o a una soluzione tecnologica di produzione energetica i nostri interlocutori, conoscendo a fondo il nostro profilo, hanno anche una misura immediata della nostra trasparenza e credibilità.

Quale orizzonte temporale deve porsi oggila ricerca in Italia? Ha ancora senso una ricerca di base o è meglio concentrarsi su tematiche dagli esiti più immediati?
Rispondo citando un caso che ritengo emblematico, quello del premio Nobel Riccardo Giacconi, astrofisico di origini italiane che si è meritato il massimo riconoscimento del settore nel 2002 per le sue osservazioni sull’astrofisica; tema sofisticato ed elaborato, apparentemente di pura teoria. E invece lui stesso ci raccontava in un recente incontro che le sue conoscenze hanno trovato immediata applicazione e sono state utili per la realizzazione di un innovativo sistema di trasporto bagagli negli aeroporti. Nulla di più concreto e di più utile per un business immediato, quindi. Le traiettorie dell’innovazione sono imperscrutabili, non è mai possibile capire a priori quale percorso porterà a risultati pratici e quale, invece, non potrà avere applicazioni a breve e medio termine. È del tutto fuorviante immaginare che uno studioso parta dalla ricerca di base e, dopo, un lungo percorso queste conoscenze si trasformino in ricerca applicata (come se le due componenti fossero concetti ben divisi e separati tra loro) e quindi, dopo un certo lasso di tempo, si arrivi al mercato. A volte dalla più astratta delle teorie si arriva subito a un’applicazione, altre volte avviene il contrario. C’è un continuum tra ricerca di base e applicativa, per cui è indispensabile investire su entrambe.

La vera scommessa è cercare di interpretare le traiettorie della ricerca più che voler definire un punto di partenza e uno di arrivo?
Certamente. Per questo abbiamo deciso di attivare all’interno dell’Enea un osservatorio che possa elaborare una sintesi degli studi in essere (in Italia e all’estero) e dei possibili sviluppi.

Imprese, una parola “magica” che forse - in Italia - non viene ancora accostata in maniera adeguata al termine ricerca. Qual è il suo punto di vista al riguardo? E come valuta i problemi del trasferimento tecnologico al settore produttivo e l’attuale livello di coinvolgimento dei privati, soprattutto delle imprese, nella ricerca?
La questione è abbastanza complessa. È evidente la necessità di un raccordo stretto tra il mondo della ricerca e le imprese. Il settore energetico è proprio uno di quelli che più può trarre beneficio in termini di competitività da accorte politiche di R&S. Si pensi a quello che è accaduto in Germania (con l’avvio di un’industria del fotovoltaico, oggi punto di riferimento a livello mondiale) o in Danimarca (con le tecnologie eoliche). A questo punto, però, è necessaria una riflessione. Quando e come deve nascere il legame tra impresa e ricerca? Io credo che il trasferimento tecnologico non debba essere inteso come un “passaggio” di competenze dai laboratori alle industrie al termine del processo stesso di ricerca; non deve essere fatto a valle quando la ricerca ha ottenuto un traguardo, ma fin dall’inizio aggregando le competenze. In Italia il 90 per cento delle attività, in termini di occupati, è imputabile alle piccole e medie progettazione congiunta di un possibile percorso…

Proviamo a immaginare un caso applicativo?
Una innovazione nel modo di costruire i giunti del solare termodinamico potrebbe avere applicazioni immediate, per esempio, per le esigenze di un costruttore di cinescopi televisivi. Ma questo può succedere se l’azienda e l’ente di ricerca si sono “parlati” fin dall’inizio. È decisamente più complesso pensare che, terminata la ricerca e trovata la soluzione per il settore solare, ci possa poi essere un trasferimento, in un secondo tempo, anche all’industria di un comparto così diverso come quello degli elettrodomestici.

Ha ancora senso in Italia avere tre soggetti - Cnr, Enea, Cesi - che si occupano tutti di ricerca e sviluppo nel comparto energia?
Sono convinto che anche nella ricerca pubblica una buona dose di stimolo concorrenziale non possa che fare bene. Avere un solo operatore, nell’impossibilità di confrontarsi con altri soggetti che fanno lo stesso “mestiere” affievolisce la spinta al miglioramento. Questo vale per le università e per i centri di ricerca. Più concorrenza c’è, migliori sono i risultati che potenzialmente si possono ottenere.

E i Paesi emergenti quali Cina, India, Stati dell’Est europeo, fanno concorrenza anche in termini di ricerca? Sono un pericolo o uno stimolo in più?
Sono certamente un’opportunità più che un problema. Questa mia convinzione è stata rafforzata, anche di recente, da alcuni episodi chiave. Nelle scorse settimane il vice ministro cinese della ricerca ha visionato il nostro progetto Archimede. Avendo la Cina il noto problema di qualificarsi a livello internazionale come Paese che, oltre a fare da traino ai consumi energetici e alle emissioni inquinanti, ha anche una concreta attenzione ai problemi ambientali, ci ha chiesto di poter mostrare il funzionamento di questa tecnologia in occasione delle prossime Olimpiadi di Pechino. Se riusciremo a realizzare questa idea la tecnologia italiana, i nostri brevetti e le nostre competenze, avranno un palcoscenico di straordinario valore per mettersi in mostra.

Ci faccia un altro esempio…
La Nokia ha realizzato a Pechino un grande centro di ricerca, assieme ad università e aziende del luogo. Da quel centro è già uscito un telefonino con tecnologia e design interamente “made in China”. Questo è un esempio che dobbiamo seguire anche noi. Se ci chiudiamo e temiamo la concorrenza straniera facciamo solo il nostro male. Se cogliamo le opportunità che i Paesi emergenti ci possono offrire, in un rapporto di collaborazione, anche per la nostra ricerca ci può essere una spinta alla crescita e al miglioramento. In Italia, per esempio, abbiamo una straordinaria fioritura nel settore delle macchine utensili, uno dei pochi che ha saputo ben coniugare la ricerca e le realizzazioni industriali. Perché non pensare a un progetto ispirato all’esperienza e ai risultati di Nokia?

Questo vale anche per gli aspetti dell’energia e dell’ambiente?
A maggior ragione. È il grande tema sul quale si investirà nel futuro, è una sfida importante in termini di risorse che potrà volgere in opportunità quelli che oggi ono spesso dei problemi. Se dovessimo parlare di navicelle spaziali, allora la sfida dell’Italia potrebbe essere perdente fin dall’inizio, perché obiettivamente altri Paesi ci sono ampiamente davanti. Ma nel settore dell’ambiente e dell’energia no. Qui possiamo dire la nostra e stare allo stesso livello delle nazioni più evolute e competitive.

Qualcuno rimpiange i tempi dei “veri” monopoli di Enel ed Eni, affermando che allora si faceva più ricerca perché non si pensava solo al mercato nel breve periodo. Condivide questa visione?
Le grandi imprese sono quelle che, solitamente, hanno le maggiori capacità di investimento. Tuttavia nel settore dell’energia non è necessario essere dei colossi per sviluppare progetti di R&S. Ci sono, anzi, opportunità anche per le piccole e medie aziende del settore. In Europa si stanno confrontando - con risultati incoraggianti - anche realtà di dimensioni non necessariamente grandi.
 
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