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PAUSA-ENERGIA
 
Il fotovoltaico è morto, viva il fotovoltaico! Stampa E-mail
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di Federico Santi

UN'IDEA POLITICALLY SCORRECT
PER LE PROSSIME ELEZIONI

Indubbiamente, i meccanismi del “termoelettrico” V Conto Energia da un lato (incluso il famigerato cap per il costo – presunto – degli incentivi, fissato in 6,7 miliardi di euro l’anno) e il rischio-Paese dall’altro hanno ucciso il fotovoltaico tricolore. Lo spettro dei commenti su questa decisione governativa, di creare artificialmente una “bolla” fotovoltaica grazie ad un incentivo stellare e poi farla scoppiare dopo pochi schizofrenici anni, può essere amplissimo. Ci asteniamo.
Certo che arrestare un ciclo di investimenti – forse speculativi, ma pur sempre investimenti – che dal 2007 al 2012 ha superato cumulativamente i 50 miliardi di euro non può non avere effetti catastrofici sulla nostra economia, soprattutto in un periodo recessivo di cui non si intravede la fine.

Da libero pensatore energetico, mi sento autorizzato a proporre un modo semplice di non buttare via miliardi al vento (non tanto i 50 investiti, quanto piuttosto i 120 che i consumatori elettrici restituiranno agli investitori nei prossimi 20 anni, tirandoli via dalle proprie già povere tasche).
Questioni macroeconomiche a parte, le principali critiche al meccanismo incentivante che – nel bene e nel male – ha portato l’Italia a diventare nel 2011 il primo mercato fotovoltaico del mondo e a coprire, con gli oltre 13 GW fotovoltaici installati, il 5 per cento della stagnante domanda elettrica nazionale, possono essere così riassunte:

1) l’IRR medio (Internal Rate of Return - tasso interno di rendimento) dei progetti fotovoltaici realizzati è stato eccessivamente generoso (dal 10 al 20 per cento a seconda dei casi, talvolta – raramente – addirittura il 30 per cento!) a spese dei consumatori, con un aggravio eccessivo sulla bolletta;
2) la legislazione è stata schizofrenica, impedendo una qualsivoglia ragionevole programmazione industriale;
3) non è stata sviluppata una filiera fotovoltaica nazionale, la quasi totalità degli impianti è equipaggiata con celle fotovoltaiche (il componente più importante, complesso e costoso) prodotte all’estero;
4) la burocrazia autorizzativa decentrata è stata ancor più schizofrenica, vessatoria, ignobilmente sprecona della pur altalenante legislazione centrale; ciò ha favorito gli avventurieri e il sottobosco della politichetta e scoraggiato le imprese serie, quelle in grado di programmare (punto 2) e fare filiera (punto 3);
5) il boom del fotovoltaico, facilmente prevedibile perché voluto, non è stato inserito in una strategia energetica generale, che puntasse all’ottimizzazione del sistema energetico nazionale tutto, con scelte strategiche chiare nei temi collegati al fotovoltaico come bilanciamento/storage, generazione distribuita/sistemi efficienti di utenza/reti private/smart grid, congestioni di rete, mobilità elettrica plug-in, infrastrutture del settore gas, eccetera; dietro al fotovoltaico sono mancate sia la politica industriale sia la politica energetica; quando è così, si sa, arrivano i predoni;
6) non è stata promossa un’adeguata attività di ricerca e sviluppo, necessaria per preparare il futuro; sembra quasi che la conversione fotovoltaica abbia termine con il Conto Energia italiano; ancora una volta, si è vissuto in un’illusione.

Si può fare ammenda per questi errori madornali e recuperare il terreno perduto? In teoria sì, si può. Naturalmente, bisogna volerlo. Do una modesta indicazione, molto concreta. Spero che serva: a far nascere (ora?!? Sì, ora) una filiera fotovoltaica nazionale; a far partire attività di R&D degne di questo nome (in Italia?!? Sì, in Italia); ad attivare una nuova ondata di investimenti, industriali e non speculativi (nel fotovoltaico?!? Sì, nel fotovoltaico); a riconciliare gli ambientalisti pro-fotovoltaico con quelli contro-fotovoltaico-perché-consuma-territorio (possibile?!? Sì, possibile).

Ecco la ricetta miracolosa: permettere ai soggetti responsabili di una quota parte degli impianti fotovoltaici realizzati in Italia – ad esempio dal 2006 in poi – e incentivati in Conto Energia di sostituire i moduli fotovoltaici installati con nuovi moduli a più alta efficienza, potenziando così gli impianti senza aumentarne le dimensioni fisiche, né in termini di numero di moduli, né in termini di superficie da essi occupata.
I vincoli per i nuovi moduli da installare “rottamando” i vecchi – dopo almeno dieci anni di vita – dovrebbero essere almeno i seguenti:
nuovi (bandito ogni genere di “usato”);
europei (veramente europei, meglio ancora se italiani, Europa permettendo);
ad alta efficienza (ben certificata!) ad esempio superiore al 25 per cento;
con garanzia di prodotto di almeno 10 anni e garanzia di rendimento (almeno 80 per cento per 20 anni).
Mille altri vincoli si possono immaginare, ad esempio sulla superficie occupata, che non dovrebbe aumentare di un metro quadro, oppure sullo smaltimento e il riciclo dei materiali costituenti i moduli rottamati, eccetera.

Adottare sin da oggi un simile provvedimento vorrebbe dire lanciare investimenti in R&D e nuove attività industriali con creazione di posti di lavoro in Europa o – meglio – in Italia, al fine di arrivare presto a prodotti commerciali con l’efficienza minima stabilita (ad esempio, 25 per cento) ai costi attuali o poco più. Infatti, il potenziale è enorme: supponendo di avere nel 2013 impianti fotovoltaici per 16 GWp – 20 TWh/ anno e supponendo che un 30 per cento di essi sia interessato dal suddetto ripotenziamento per rottamazione dopo 10 anni dall’entrata in esercizio (in realtà quasi tutti saranno interessati, non è da escludere che occorra stabilire un tetto massimo e dei criteri per rientrarvi – l’italianità?...) si stima facilmente un investimento complessivo nell’ordine dei 5 miliardi di euro, che giustificherebbe la creazione di una filiera industriale e un’attività di R&D – sempre che il quadro regolatorio, una volta definito, sia e resti stabile nel lungo termine, consentendo una programmazione industriale.

È ovvio chiedersi: quanto costerebbe ai consumatori? La risposta è sorprendente: nulla! O meglio, nulla più di quanto già stabilito, ovvero non un solo euro in più del tetto di 6,7 miliardi l’anno già fissato dalla legislazione vigente e ritenuto quindi accettabile.
Facile da comprendere, se si pensa che i moduli FV perdono di efficienza nel tempo: in media, il rendimento energetico dei moduli fotovoltaici in silicio cristallino scende dell’1 per cento l’anno, arrivando dopo 20 anni (non linearmente) a circa l’80 per cento del valore iniziale. Con l’efficienza dei moduli fotovoltaici si riduce di pari passo la producibilità dell’impianto. Se dunque il parco di impianti fotovoltaici italiano fornirà 20 TWh nel 2013, lo stesso parco produrrà circa 17 TWh nel 2023, cioè 3 TWh in meno; poiché l’incentivo è – appunto – in Conto Energia, se nel 2013 il costo complessivo dell’incentivo fosse di 6,7 miliardi, nel 2023 lo stesso costo si ridurrebbe a circa 5,4 miliardi, oltre 1 miliardo di euro in meno.

Orbene, se il 30 per cento dei suddetti 16 GWp venisse sostituito da impianti una volta e mezzo più efficienti, si avrà a partire dall’anno orizzonte – per semplicità dal 2023, in realtà il processo durerà più anni, non ha senso che venga concentrato in un unico anno – una produzione fotovoltaica di circa 25 TWh/anno incentivata in Conto Energia. È da sottolineare che l’incentivo in Conto Energia non viene rivalutato con l’inflazione; poiché quest’ultima viaggia a ritmi almeno del 3-4 per cento l’anno (più del triplo del tasso di diminuzione dell’effi- cienza dei moduli fotovoltaici!) in realtà quel costo dell’incentivo che oggi vale 6,7 miliardi di euro varrà, tra 10 anni, circa 4 miliardi di euro l’anno, considerando anche la diminuzione di efficienza dei moduli fotovoltaici. Con 25 TWh, quindi, il costo annuo complessivo tornerà a circa 6,7 miliardi di euro in termini reali. Il calcolo e il ragionamento possono – devono – ovviamente essere affinati a piacere, questo non è che uno spunto di discussione.

Un siffatto meccanismo richiede una modifica breve e semplicissima della legislazione vigente: “…dopo 10 anni di entrata in esercizio, ogni impianto fotovoltaico incentivato in Conto Energia può essere ripotenziato mediante mera sostituzione dei moduli fotovoltaici con altri più efficienti, in pari numero e delle stesse dimensioni, purché… [e qui chi più ne ha più ne metta; sopra ho già suggerito alcuni dei possibili vincoli]”.
Se la fonte legislativa sarà sufficientemente robusta e duratura, si potranno così integralmente recuperare i terawattora fotovoltaici che andranno perduti nei prossimi 20 anni a causa della naturale diminuzione di efficienza dei moduli installati fino al 2013. E questo senza aggravio di costi rispetto ai 6,7 miliardi di euro ritenuti tollerabili dal sistema. Se dunque si ritiene tollerabile per il sistema elettrico italiano un costo di 6,7 miliardi di euro per gli incentivi in Conto Energia, lo spazio per il semplice provvedimento che propongo è più che sufficiente. Peraltro, 10 anni sono un periodo adeguato a programmare e realizzare eventuali modifiche delle reti di distribuzione a cui gli impianti fotovoltaici sono collegati, nonché ad inquadrare in generale questo “re-boom” del fotovoltaico in una strategia energetica generale.

In merito alla convenienza per gli operatori di “rottamare” anzitempo i moduli fotovoltaici installati e sostituirli con nuovi moduli ad altissima efficienza – altissima per gli standard odierni, si intende – se i nuovi moduli costeranno nell’ordine di 1 euro/Wp allora varrà la pena. I vecchi moduli saranno proficuamente sostituiti e l’intero impianto aggiornato, sostituendo gli inverter e le altre apparecchiature.
Cinque miliardi di potential market possono giustificare investimenti in innovazione e stabilimenti produttivi, con creazione di posti di lavoro. Il tempo ci sarebbe: 10 anni sono più che sufficienti, come mostrano le learning-curves delle diverse tecnologie fotovoltaiche. Peraltro, fatto rilevantissimo, un impianto fotovoltaico da 2 euro/Wp con efficienza del 25 per cento avrebbe un costo di produzione di circa 100 euro/MWh, sicuramente in grid-parity nel 2023 con l’aria che tira nei mercati energetici nostrani. Quindi, un nuovo stabilimento industriale ubicato in Italia, produttore di celle fotovoltaiche ad alta efficienza con tecnologia ideata/sviluppata/brevettata in Italia, potrebbe essere sì stimolato dal mercato del ripotenziamento degli impianti, ma potrebbe altresì trovare ampi mercati in grid-parity altrettanto interessanti: la “rottamazione” fungerebbe solo da volano industriale, come è corretto che sia.

Dunque, per una volta, correggere errori madornali si può. Si può fare una mossa da politica industriale che fermi o rallenti la moria di imprese fotovoltaiche e di posti di lavoro, dia una luce di speranza concreta al settore, stimoli la ricerca e l’industria manifatturiera, aumenti la produzione di energia solare fotovoltaica senza aumentare al contempo il costo degli incentivi oltre il limite già definito accettabile per il sistema elettrico.
Chiudo con un’idea politically scorrect per le prossime politiche: un partito che voglia raccogliere le molte centinaia di migliaia di voti del deluso mondo fotovoltaico, nel suo variegato insieme, inserisca nel programma, con forza, chiarezza ed evidenza, questo semplice punto che ho qui suggerito. Chissà – hai visto mai – che non vinca le elezioni...

 
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