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Testa: ‘‘Meno libri dei sogni e più concretezza” Stampa E-mail
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di Davide Canevari



Anche nel settore energia il confronto sta assumendo sempre più i toni dello scontro. Tutti litigano e si litiga su tutto, come in un talk show televisivo; ovunque sembrano dominare gli interessi particolari e chi non è d’accordo diventa automaticamente un nemico.
Chicco Testa – dallo scorso luglio presidente di Assoelettrica – nella sua vita professionale di battaglie ne ha condotte parecchie (non solo in campo strettamente energetico), preferendo sempre il fioretto alla clava. È dunque colto di sorpresa dalla situazione attuale?

“Non direi. È vero, il volume e il tono del confronto sono cresciuti sensibilmente nel nostro comparto. Ma siamo ancora lontani da quanto succede in altri ambiti. Penso, ad esempio, alla contrapposizione tra Gruppi editoriali o alle recenti prese di posizione sul caso Fiat
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Questo, però, non ci consola.
**Tuttavia aiuta a contestualizzare il problema che è di natura generale e non particolare o settoriale. Sull’economia italiana si è abbattuta, ormai da qualche anno, la recessione, quella vera. E per noi è stata un’esperienza nuova. Ricordo che anche nei primi anni Settanta si parlava di congiuntura negativa. Ma allora, pur crescendo con tassi inferiori agli anni precedenti, si continuava comunque a crescere.
Fino a ieri, quindi, la torta economica bastava per soddisfare un po’ tutti; anche se il vicino prelevava una fetta “più grande del dovuto”, ne restava a sufficienza per gli altri. Ora quella torta si è sensibilmente rimpicciolita in termini assoluti.


Che significa nello specifico del nostro comparto?
** A fine 2012 i consumi attesi di energia elettrica si saranno ridotti ai livelli del 2003. All’appello mancano dunque dai 30 ai 40 TWh, rispetto alle previsioni che hanno guidato molti dei recenti investimenti delle utility energetiche. Nel frattempo le importazioni sono rimaste sostanzialmente invariate. E come stupirsi? È tutta o quasi energia nucleare con costo marginale zero che può quindi essere venduta all’Italia in qualsiasi momento a un centesimo in meno rispetto al nostro prezzo di mercato, qualunque esso sia. Non solo. Quando è iniziato il processo di liberalizzazione il mercato contendibile era pari a circa l’80 per cento del totale; oggi la quota si è ridotta al 60 per cento (meno ancora, circa il 50 per cento, se si ragiona in termini di valore e non di volume).

             
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“A fine 2012 i consumi attesi di energia elettrica si saranno ridotti ai livelli del 2003. All’appello mancano dunque dai 30 ai 40 TWh, rispetto alle previsioni che hanno guidato molti dei recenti investimenti delle utility energetiche. Nel frattempo le importazioni sono rimaste sostanzialmente invariate. E come stupirsi? È tutta o quasi energia nucleare con costo marginale zero che può quindi essere venduta all’Italia in qualsiasi momento a un centesimo in meno rispetto al nostro prezzo di mercato, qualunque esso sia. Non solo. Quando è iniziato il processo di liberalizzazione il mercato contendibile era pari a circa l’80 per cento del totale; oggi la quota si è ridotta al 60 per cento (meno ancora, circa il 50 per cento, se si ragiona in termini di valore e non di volume)”. Chicco Testa da anni è un protagonista della scena energetico ambientale dell’Italia. Basti ricordare l’incarico di presidente di Enel (1996-2002) e di segretario nazionale e poi presidente nazionale di Legambiente (1980-1987). Oltre a ricoprire importanti incarichi manageriali (tra l’altro, attualmente, managing director di Rothschild). Testa è un attento osservatore del rapporto tra energia e Sistema Paese: “Ancora una volta quello dell’energia non è un universo a sé stante, è solo uno specchio della situazione italiana; basta vedere cosa succede in ambito sindacale”. “In questi anni – aggiunge Testa - le scelte di politica energetica sono state numerose e determinanti. Per convincersi basterebbe leggere la bolletta: tutto ciò che non è mercato è frutto di scelte politiche e dunque ha a che fare con la politica energetica. La stessa definizione della struttura tariffaria oggi vigente, con specifici vantaggi per categorie più deboli o svantaggiate, è una scelta squisitamente politica”. Tra i fondatori dell’ambientalismo in Italia, fu tra i promotori del referendum antinucleare del 1987, Testa oggi esprime severe critiche ad “una parte dell’ambientalismo nostrano”: “Trovo inaccettabile non si sia fatta carico anche delle responsabilità che ha nei confronti del Sistema Paese, al di là delle posizioni ideologiche”.

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Quindi i produttori stanno oggi confrontandosi con una torta decisamente più piccola sia in termini assoluti sia relativi?
**Esattamente. E così ciascuno, a livello di singolo operatore o di ambito settoriale, cerca di difendere disperatamente i propri interessi perdendo di vista la questione nell’ottica del Sistema Paese.


La stessa polverizzazione delle associazioni, anche in settori specifici come le rinnovabili, è un fattore da non sottovalutare. Forse il mondo dell’energia avrebbe bisogno di maggiore unità?
**La risposta è scontata e affermativa, ma purtroppo la realtà va in un’altra direzione. In questa particolare fase dell’economia ciascun settore è alla ricerca di un beneficio specifico o di una “protezione” dedicata per poter restare competitivo. Non appena una categoria ottiene un vantaggio, è automatico che le altre rivendichino lo stesso trattamento. Il rischio a questo punto è duplice.
Da una parte, di “protezione” in “protezione”, si finisce per tornare indietro rispetto al percorso di liberalizzazione fin qui intrapreso. Dall’altra, per farsi sentire, occorre esercitare un forte potere di lobby e presentarsi come “portatori di interessi ben specifici”. La frammentazione delle rappresentanze è, a questo punto, inevitabile.
Ancora una volta quello dell’energia non è un universo a sé stante, è solo uno specchio della situazione italiana; basta vedere cosa succede in ambito sindacale.


In politica il peso dei tecnici è notevole… Non se ne sente il bisogno anche per i temi energetici?
**Il mondo dell’energia ha investito molto sulle proprie competenze tecniche. L’Autorità, il GSE, il GME, l’Acquirente Unico, Terna – per fare alcuni nomi in ambito pubblico – sono tutte strutture che rispondono a requisiti e a capacità tecniche di assoluto rilievo, al pari delle eccellenze in ambito europeo. Non ci sarebbe quindi nulla da costruire ex novo. Basterebbe riconoscere le competenze a chi le ha già, garantendone nel contempo l’indipendenza.


Ma i cittadini sono disposti a dare maggiore fiducia ai tecnici?
**Purtroppo su questo fronte è una battaglia (quasi) persa. Bisognerebbe, in primo luogo, riallineare i messaggi tra la componente politica e quella tecnica. Se così fosse, il politico (eletto dal cittadino e al quale in qualche modo il cittadino stesso si rapporta) eviterebbe, come capita troppo spesso, di fare disinformazione e fornire elementi di valutazione palesemente distorti.
Stesso discorso vale per gli intellettuali o gli opinionisti che parlano (nella fattispecie, di energia) attraverso i mass media e che fanno opinione. Prima dell’ultimo referendum sul nucleare su uno dei più autorevoli quotidiani nazionali è stato pubblicato un commento di questo genere: “Da noi vogliono usare ancora le vecchie tecnologie, mentre all’estero già si costruiscono reattori di IV generazione”.


Reattori che oggi sono ancora in fase di studio e nella migliore delle ipotesi saranno disponibili a partire dal 2040…
**Infatti, ma quella comunicazione manifestamente erronea è comunque passata. Stiamo anche parlando di un Paese – l’Italia – fortemente sfiduciato, dove domina la dietrologia e si pensa che le informazioni siano fornite dagli “addetti ai lavori” e da chi “davvero se ne intende” sempre con un “secondo fine”. Mentre il comico o l’attore possono parlare disinteressatamente.
In un ipotetico confronto sui temi dell’energia tra una squadra composta da Premi Nobel e ricercatori di fama internazionale e un team di personalità dello spettacolo, in termini di seguito e di riprese da parte dei mass media, senza il minimo dubbio vincerebbe il secondo.


In Italia si è tornati a parlare di SEN, di PAN, di PEN (sembra quasi una filastrocca o uno scioglilingua). Finalmente l’Italia si appresta ad avere quella politica energetica che pare essere mancata nel recente passato?
**Non è affatto vero che sia mancata, e non bisogna per altro confondere la politica energetica con una minuziosa pianifi- cazione degli interventi in stile sovietico, ovvero con un rigido piano energetico nazionale.
In questi anni le scelte di politica energetica sono state numerose e determinanti. Per convincersi basterebbe leggere la bolletta: tutto ciò che non è mercato è frutto di scelte politiche e dunque ha a che fare con la politica energetica. La stessa definizione della struttura tariffaria oggi vigente, con specifici vantaggi per categorie più deboli o svantaggiate, è una scelta squisitamente politica. E questo vale anche per la decisione di voltare le spalle al ritorno del nucleare, per i CIP 6, per gli incentivi alle rinnovabili e per la pianificazione di un loro ulteriore sviluppo addirittura con percorsi definiti su base regionale, per il via libera o l’opposizione alle autorizzazioni per la costruzione di nuove centrali a carbone…
Sono tutte scelte politiche che hanno guidato o condizionato lo sviluppo del settore, e molte altre potrebbero essere citate. Altra cosa è poi discutere se si è trattato di scelte sempre coerenti, più o meno in grado di seguire un filo conduttore. Su questo il confronto è aperto.


Le grandi questioni geopolitiche pesano parecchio ma Italia ed Europa cosa possono fare per non ricoprire un ruolo passivo?
**La situazione geopolitica mondiale continua ad essere estremamente problematica e i fattori di rischio sono andati crescendo da venti anni a questa parte. In questo difficile contesto i Paesi europei hanno sempre dichiarato di voler perseguire due obiettivi primari: energia a basso prezzo e sicurezza degli approvvigionamenti.
Nei fatti, tuttavia, l’Unione europea ha sofferto e soffre tuttora della sindrome del prigioniero, consapevole di non essere nella situazione ideale, ma anche del fatto che alla fine il carceriere le darà sempre qualcosa da mangiare. L’Italia non fa differenza, anzi parte da una situazione di maggiore debolezza: la nostra dipendenza dalle importazioni energetiche è di oltre 20 punti superiore rispetto a quella media europea.


Possibili vie d’uscita?
**Una vera integrazione dei mercati energetici europei e la capacità di parlare finalmente con una sola voce. È vero che l’Europa dipende da pochi fornitori stranieri per grandi quantitativi di energia. Ma ricordiamo che, per le stesse ragioni, anche i fornitori dipendono fortemente da noi.


Diciamo che senza prigionieri anche il carceriere resta disoccupato…
**Questo deve diventare il nostro punto di forza, pur nella consapevolezza che si stanno affacciando nuovi protagonisti sul mercato della domanda, come Cina, India e America Latina. La medesima osservazione vale tuttavia anche sul fronte dell’offerta. Pensiamo a come potrebbero cambiare radicalmente tutti gli equilibri se l’Europa si accordasse con gli States per acquistare grandi quantità di shale gas americano.


In effetti lo shale gas ha già modificato e non di poco il “vecchio” panorama geopolitico.
**Gli Stati Uniti, come l’Europa, si sono posti l’obiettivo dell’indipendenza energetica, ma lo hanno fatto in maniera più decisa e concreta. Alcuni mesi prima delle elezioni che hanno portato Barack Obama alla Casa Bianca, in piena campagna elettorale, il Forum Ambrosetti di Cernobbio ospitò due illustri rappresentanti dei candidati in lizza per la presidenza.
Su un solo tema mostrarono una posizione assolutamente bipartisan. “Il costo delle importazioni energetiche negli Stati Uniti era divenuto eccessivo e, soprattutto, parte dei soldi spesi si ritorceva contro l’America poiché finiva per finanziare il terrorismo: occorreva correre ai ripari”. E così è stato, pur nella consapevolezza che la scelta poteva non essere indolore.


In che senso?
**Si sapeva che lo sfruttamento dello shale gas poteva avere delle conseguenze ambientali. Ma sul piatto della bilancia, accanto ai possibili rischi geologici sono stati messi quelli di una recrudescenza del terrorismo. E alla fine sembra aver prevalso il buon senso. D’altra parte è illusorio pensare che possa esserci un’attività umana totalmente priva di rischi.


E questo potrebbe funzionare anche in Italia?
**In parte sta già funzionando. Questo governo ha infatti avuto il coraggio di riaprire le esplorazioni di oil&gas nel nostro Paese. E, personalmente, sono stato anche contattato da alcuni grandi investitori internazionali che mi hanno chiesto lumi al riguardo. Ne poteva valere la pena? C’era da fidarsi? Significa che qualcosa di concreto potrebbe davvero succedere. Sarebbe per altro assurdo, viste le precedenti considerazioni, rinunciare a priori alla possibilità di raddoppiare la quota attuale di produzione nazionale di petrolio e gas naturale. A chi si oppone a priori dico: “È pregato di consegnare le chiavi dell’automobile alla cassa”.


Secondo lei, questa motivazione basta a convincere l’ambientalismo più radicale? Forse le cose non sono più come ai tempi del suo debutto…
**Quando abbiamo cominciato, eravamo “obbligati” a strillare per farci sentire. Da allora molto è cambiato e trovo inaccettabile che parte dell’ambientalismo nostrano non si sia fatto carico anche delle responsabilità che ha nei confronti del Sistema Paese, al di là delle posizioni ideologiche. Gli stessi mass media hanno una parte di responsabilità non trascurabile. Quando un’associazione ambientalista prende una posizione “seria” e “moderata” non fa notizia; quando blocca apertamente un’opera, costituisce un comitato, o compie gesti eclatanti, sì. Questo oscillare tra tentativi di serietà e posizioni massimaliste non aiuta certo il Paese ad andare avanti. Molto bisogna ancora fare per far crescere una vera cultura ambientalista.


Un tema strettamente legato a quello dell’energia riguarda la mobilità pubblica e le infrastrutture…
**Sono del tutto favorevole al potenziamento del trasporto pubblico su rotaia, anche per ragioni di bottega in quanto si tratta di una modalità che consuma energia elettrica. Allo stesso tempo credo molto nella infomobilità, quindi nel ruolo dell’ITC. Quando si pensa ad interventi in questo settore si tende sempre a dare più spazio alla parte hardware rispetto al software. Un errore che si tende a commettere spesso anche nel campo dell’efficienza energetica.


Per finire, tre domande flash. Torniamo in una battuta alla questione dell’overcapacity. Era davvero imprevedibile?
**Il piano di sviluppo di Terna del 2004 prevedeva al 2012 una richiesta sulla rete di 420 TWh. Il 2012, probabilmente, si chiuderà a quota 320 TWh, esattamente lo stesso valore del 2003. Il conto è facile: 100 TWh sono quelli che vengono prodotti da 20 centrali da 1.000 MW ciascuna che funzionino 5mila ore l’anno.


E adesso come si può risolvere?
**Una strada, se l’integrazione tra i mercati elettrici europei sarà finalmente realizzata, potrebbe essere quella di mettere questa potenza a disposizione dei Paesi che hanno maggiori problemi di intermittenza e non programmabilità della generazione da rinnovabili.


Un appello al Governo?
**Che la strategia energetica nazionale sulla quale sta lavorando e che sarà a breve sottoposta a consultazione non rimanga un libro dei sogni ma veda un seguito operativo.

 
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