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Italia a buon punto con il mix di generazione Stampa E-mail
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di Michele Governatori | direttore Affari Istituzionali e Regolatori di EGL Italia e vicepresidente AIGET



A volte mi metto nei panni di un imprenditore o di un capo azienda alle prese con decisioni di investimento molto importanti e di lungo periodo. Decisioni riguardo a dove mettere i soldi, rispetto alle quali - certo - sarebbe bello poter dare certezze ai conferitori di capitale. I business developer assistono decisioni del genere con il meglio delle indicazioni che gli strumenti di valutazione economica e i mercati forniscono, ma difficilmente si può calcolare in modo affidabile nel lungo periodo un tasso di rendimento interno o un periodo di payback. Inoltre, i mercati a termine nelle commodity sono liquidi se va bene per un anno o poco più: per il resto bisogna inventarsi degli scenari, fare scelte strategiche sulla base di attese qualitative. Detto in altri termini: avere una visione.


Figuriamoci poi quanto c'è in ballo se parliamo di scelte di strategia energetica di una nazione. Andare a gas o a nucleare? Quanto aiutare le nuove tecnologie? E quali? E quanto a lungo? Anche qui ci vuole un’idea sul ruolo del sistema economico-Paese in un futuro internazionale di lungo termine. E non è detto che gli elettori siano disposti a premiare i politici che quest’idea ce l’hanno e che fanno scelte coerenti ma i cui risultati, appunto, sono incerti e di lungo termine. La decisione di fondare molto sul gas il sistema energetico italiano credo possa considerarsi frutto in particolare di tre nodi storici:

l’intuizione di Enrico Mattei nello sfruttare questa risorsa (di cui l’Italia aveva modeste ma importanti dotazioni) negli anni Cinquanta;
il referendum antinucleare del 1987 e i rapporti privilegiati dei governi italiani negli anni Ottanta con il Nord-Africa esportatore;
la necessità, con la liberalizzazione e il blackout elettrico del 2003, di una ricostruzione rapida del parco centrali, che vedeva nei cicli a gas l’unica combinazione di tecnologia e combustibile di fatto fattibile in quella fase da parte dei privati.

Intuizioni, grandi personaggi, reazioni ad accidenti o a tragedie come quella di Chernobyl avevano forse determinato più di qualunque strategia organica l’assetto energetico in cui l’Italia si era già trovata indirizzata, quando nel 2007 i governi UE hanno concordato gli obiettivi ambientali al 2020. Obiettivi il cui perseguimento avrebbe rivoluzionato i valori in gioco nei mercati elettrici di alcuni Paesi d’Europa, tra cui il nostro, fino a rendere ai giorni nostri insufficiente il meccanismo dei mercati del giorno prima come sistema di valorizzazione (e remunerazione) dell’elettricità, e rendendo invece critico l’approvvigionamento a lungo termine di capacità di backup e flessibilità.

L’Europa intanto perseguiva una politica di diversificazione degli approvvigionamenti e aumento delle interconnessioni gas anche attraverso le iniziative Trans European Energy Network. E i governi italiani, coerentemente, insistevano con continuità nel puntare su un futuro ruolo di collettore di gas per il nostro Paese. È in questo contesto che l’abbondanza di gas non convenzionale americano (e la carenza di domanda in Europa) hanno iniziato a premere, forse finalmente in modo ineluttabile, verso uno sganciamento dei prezzi del gas da quelli del petrolio.

Ecco, in questo scenario ora l’Italia mi sembra tra i Paesi meglio posizionati d’Europa. Bene interconnesso e strategicamente diversificato sul gas (anche grazie ai progetti in pista), senza troppo nucleare da dismettere, con un parco di generazione che già per oltre un quarto della produzione va a fonti rinnovabili e che per la parte termoelettrica è in grado di supportare le rinnovabili con servizi di flessibilità più che in altri Paesi, tanto da poter candidarsi ad esportarli.

L’hardware, insomma, c’è o sta per completarsi. Manca ancora un po’ di software: vera contendibilità della capacità gas di interconnessione e di stoccaggio (anche per i termoelettrici), una strategia-Paese di uscita dai contratti take or pay, evoluzione degli strumenti di mercato per la valorizzazione anche a termine della riserva elettrica. E a livello europeo, affinché il Sistema Italia possa trarre massimo vantaggio dal proprio posizionamento: sviluppo di un mercato unico dei servizi di bilanciamento elettrico che ci favorisca. Su questo sono certo che l’Autorità italiana, con l’aiuto degli operatori, non si farà sfuggire la possibilità di avere un ruolo importante nel lavoro consultivo aperto per i prossimi mesi presso l’ACER (l’Autorità europea) e l’Entso-E (la comunità dei gestori di reti elettriche europee).

 
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