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PAUSA-ENERGIA
 
Diamo [anche] un’occhiata agli scenari di lungo termine Stampa E-mail
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di Ugo Farinelli


È diventato ormai un luogo comune dire che nei tempi di crisi economica bisognerebbe guardare lontano e non soltanto all’immediato: ma andate a dire al piccolo imprenditore che non sa come arrivare a fine mese, che deve pensare a una società basata sulla conoscenza, o al giovane disoccupato che l’economia verde creerà una serie di posti di lavoro che non si può neppure immaginare. Ciò non toglie che il messaggio sia sostanzialmente corretto: quando, come nel momento attuale, appare esserci qualcosa di sbagliato nell’economia dei Paesi più avanzati, occorre interrogarsi sulle cause, è necessario immaginare un sistema diverso per il futuro, e bisogna anche fare qualcosa per realizzarlo. Proprio per la difficoltà che ha l’uomo comune a comprendere che cosa c’è che non funziona, per l’apparente mancanza di fondamentali dietro alla crisi, è importante mettersi in una prospettiva di lungo termine e cercare uno sbocco che non sia soltanto quello di tappare le falle più grosse e ritornare a un sistema che per un po’ aveva funzionato, rabberciando quello che si è dimostrato pericoloso e attenuando gli effetti delle speculazioni più marcate.


Ebbene, ho l’impressione che qualcosa in questo senso si stia muovendo, e che l’energia e la sostenibilità abbiano a che fare con questo. L’energia perché continua ad essere un elemento essenziale e non facilmente controllabile dello sviluppo economico; perché i costi di investimento nei sistemi energetici restano in cima alle classifiche di movimento dei capitali internazionali; per la tensione del mercato energetico che rende difficile prevedere, e ancor più controllare, i prezzi sul mercato mondiale; perché la crisi economica attuale, anche se non è stata direttamente provocata dal caro petrolio, si è intrecciata strettamente con l’andamento dei suoi prezzi; per l’incompatibilità del sistema energetico attuale, se dovesse continuare così, con la preservazione dell’ambiente e con la stabilità del clima; per l’importanza che l’energia continua ad avere nel configurare i rapporti sociali all’interno dei Paesi, e ancor più i rapporti tra Paesi. Insomma, come si dice oggi, per i suoi aspetti di sostenibilità economica, ambientale e sociale.


Mentre la maggior parte degli studi di scenari energetici e ambientali si pongono orizzonti al 2020 (basti pensare ai famosi obiettivi 20-20-20 dell’Unione europea) o al massimo al 2030, si tratta ancora (come diremo oltre) di scenari a medio termine.
Studi di prospettiva centrati sull’energia su un orizzonte al 2040 e oltre (fino al 2100) vengono svolti dalla Commissione europea e da numerosi centri accademici, governativi e privati, nazionali e internazionali. L’Agenzia Internazionale dell’Energia di Parigi (IEA) con il suo volume annuale di prospettiva, il World Energy Outlook e il suo studio, aggiornato ogni due anni, sullo sviluppo delle tecnologie energetiche. La Commissione europea (Direzione Scienza e Insegnamento) ha svolto e promosso studi di prospettiva al 2050 e al 2100 (Global Europe 2050; World and European Energy and Environment Transition Outlook). L’IIASA (International Institute for Advanced Systems Analysis di Laxenburg, Austria) ha appena terminato un grosso studio scenaristico, svolto in collaborazione con i principali attori del settore energetico, chiamato Global Energy Analysis, con orizzonte al 2050 ma anche con escursioni più in avanti.


Molte delle grandi compagnie energetiche (esempi ben noti la BP e la Shell) che hanno presentato in passato scenari energetici di medio periodo, guardano oggi con maggiore attenzione al lungo termine; la ExxonMobil ha recentemente presentato il suo World Energy Outlook 2040. Motivazioni: l’importanza degli investimenti in campo energetico, sia pubblici sia privati, molti con tempi di ritorno assai lunghi.


Come definiamo uno scenario di lungo termine? Più che definire una durata di riferimento (più di trenta o di quarant’anni) diremo che è uno sguardo a un futuro che non è già scritto nel presente. Gli investimenti energetici hanno durate lunghe. Se consideriamo una centrale termoelettrica, quelle che sono in funzione oggi saranno in gran parte ancora funzionanti nel 2030, e forse nel 2040. Una centrale nucleare è oggi progettata per una durata di almeno 60 anni; le centrali idroelettriche (o almeno le loro maggiori infrastrutture) vivono almeno 100 anni.
Per quanto riguarda i consumi energetici, molti impianti industriali si ritrovano poco cambiati a distanza di dieci o vent’anni, e gli stessi edifici si rinnovano in Europa con un tasso dell’ordine dell’1 per cento l’anno, cioè molti degli edifici attuali saranno lì tra cent’anni (anche se in parte ristrutturati). Viceversa gli elettrodomestici durano 10 o 15 anni, quindi al 2040 il parco sarà interamente rinnovato almeno una volta. Lo stesso vale per i veicoli, specie quelli individuali, ma non per le infrastrutture di trasporto. Quindi, non sono tanto i veicoli che condizionano il futuro quandto le strade, i porti, le ferrovie.
Anche le grandi infrastrutture di trasporto di energia – elettrodotti, oleodotti, gasdotti, impianti di liquefazione e di rigassificazione, eccetera – rappresentano eredità importanti. In questo modo, i Paesi maturi come il nostro avranno maggiori difficoltà a introdurre sistemi energetici interamente nuovi e nuovi modi di usare l’energia piuttosto che i Paesi di industrializzazione più recente, quelli emergenti.


Un altro modo di vedere la scala dei tempi è rispetto ai tempi biologici, cioè rispetto al ricambio generazionale. Questo è importante per quello che riguarda i comportamenti individuali, i tempi necessari a cambiare le abitudini, gli atteggiamenti, la cultura… Insomma, un modello a breve o medio termine serve a fare delle previsioni, e ci dà consigli su come investire; un modello di lungo periodo serve ad immaginare un futuro al quale vorremmo arrivare e ci mostra che cosa dovremmo fare perché si realizzi. Per questo sono state sviluppate metodologie modellistiche di lungo termine, come il VLEEM (Very Long term Energy and Environment Model), e si è sviluppato il back casting (l’approccio inverso al forecasting) cioè lo studio di come (e se) sia possibile arrivare a un risultato desiderato. Insomma, scenari prescrittivi piuttosto che predittivi.
Che cosa hanno in comune tutti questi scenari di lungo termine?


La demografia
Tutti i modelli di lungo termine si basano sostanzialmente sulle stesse previsioni demografiche, di provenienza soprattutto Nazioni Unite. A livello mondiale è in corso da poco meno di un secolo una transizione demografica, che porterà la popolazione mondiale da un livello di poco superiore a un miliardo a poco meno di dieci miliardi di abitanti alla fine di questo secolo (la popolazione mondiale ha raggiunto i sette miliardi il 31 ottobre 2011) ma in condizioni di sostanziale stabilità.
Questa transizione riguarda quasi unicamente i Paesi in via di sviluppo (PVS) ed è determinata da un crollo del tasso di mortalità (soprattutto infantile) a causa della diffusione di norme igieniche, alla disponibilità di nuovi medicinali (in particolare antibiotici) e alla maggiore disponibilità di cibo, seguito solo a distanza di due o tre generazioni da una corrispondente diminuzione del tasso di natalità. I Paesi oggi più ricchi, in Europa e in America, erano già passati attraverso questa fase di crescita (anche se meno impetuosa di quella attuale) circa un secolo e mezzo fa. In realtà i demografi hanno dimostrato di sapere quello che fanno, visto che le previsioni di sviluppo demografico che si fanno oggi erano state previste fin dall’inizio degli anni ’70, quando la progressione esponenziale della popolazione sembrava inarrestabile.

La transizione demografica oltre che sulla numerosità della popolazione ha profondi effetti sulla sua distribuzione per età. In un Paese in rapida espansione demografica (come molti dei Paesi oggi meno sviluppati) si ha una prevalenza di bambini e di giovani; in un Paese in contrazione demografica (come l’Italia) una prevalenza di anziani. Entrambi questi scostamenti dall’equilibrio portano a problemi sociali anche gravi, e si cominciano oggi a studiarne gli effetti sui sistemi energetici, che ne devono tener conto. Questo sottolinea l’importanza delle migrazioni, come strumento per riequilibrare parzialmente la distribuzione per età. Pertanto, le politiche che saranno adottate nei confronti dell’accoglienza di stranieri avranno un rilievo essenziale nel determinare un eventuale spostamento (verso l’alto o verso il basso) dalla condizione di stabilità numerica della popolazione.


L’urbanizzazione
A questo aumento rapido di popolazione si sovrappone nei PVS un altrettanto vistoso fenomeno di urbanizzazione, cioè di spostamento della popolazione dalle aree rurali alle città.
Questo è portato da una minore domanda di mano d’opera nelle campagne causata dalla modernizzazione dell’agricoltura, dall’offerta di posti di lavoro in città (nell’industria e ancor più nei servizi) e dalla maggiore accessibilità in città di servizi di vario genere, compresi i servizi energetici.

È infatti relativamente più facile approvvigionare l’energia in ambiente urbano piuttosto che rurale, perché vi sono maggiori possibilità di realizzare reti per distribuire elettricità e gas, ma anche altri vettori energetici e in futuro anche informazioni (cioè le smart grid). Inoltre vi è maggiore possibilità di riciclare e utilizzare razionalmente rifiuti e residui urbani e industriali piuttosto che quelli agricoli.

Anche questo fenomeno di urbanizzazione è stato previsto e osservato da tempo. Questa rapida urbanizzazione – per molti versi positiva e necessaria – ha portato anche a una serie di problemi, soprattutto per la rapidità con cui si è manifestata: sovraffollamento delle città, impossibilità di fornire servizi adeguati, inadeguata crescita dell’offerta di posti di lavoro, degrado ambientale, fenomeni di malavita organizzata. Si sono soprattutto creati i problemi dove le città sono cresciute oltre certi limiti, cioè nelle megalopoli, città con oltre 10 milioni di abitanti (ce ne sono attualmente 21, e il loro numero è in rapida crescita).


La transizione economica
In misura più o meno accentuata, e con tempistiche un po’ differenti, tutti i modelli di lungo termine prevedono uno spostamento graduale del potere economico dai Paesi oggi industrializzati a quelli emergenti. Perdita di centralità, dunque, dell’Europa ma anche dei Paesi industriali in generale.
Ci stiamo già abituando al graduale prevalere della Cina nelle statistiche mondiali: come popolazione, come reddito, come produzione e consumo di energia, come produzione di beni di consumo, come inquinamento i cinesi sono ormai quasi sempre al primo posto. Ebbene, non abituiamoci troppo, perché la situazione cambierà ancora: la Cina, con una popolazione che si stabilizzerà intorno al 2030, sarà sorpassata dall’India e forse da altri Paesi emergenti. E dobbiamo aspettarci l’emersione di nuovi protagonisti dopo l’India, il sudest asiatico, l’America latina, forse la regione del Caspio – e soprattutto la grande incognita dell’Africa, lasciata apparentemente fuori dal processo di sviluppo prorompente di questi anni, ma che è già indicata come la regione in cui si avrà la massima crescita di popolazione e dalla quale potrebbero venire delle sorprese anche dal punto di vista economico.


Il ruolo “residuo” per l’Europa
Che cosa ci rimane per l’Europa? La visione di una società basata sulla conoscenza e sull’informazione come mezzo principale per aumentare la produttività del lavoro. Una società in gran parte dematerializzata, che produce più servizi che non manufatti, che punta sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Gli studi di prospettiva sviluppati dalla Commissione europea giustamente puntano a sottolineare l’importanza che riveste il ruolo che si vorrà dare l’Unione europea nella gestione di una politica energetica comune: un’occasione da non perdere per ridare un po’ di fiato e di visione al Vecchio Continente.


I prezzi dei combustibili fossili
Rispetto a qualche anno fa si sono attenuate le polemiche sulle previsioni del prezzo dei combustibili fossili sul lungo periodo.
La concezione di un esaurimento delle risorse è stato superato sul campo dall’emergere dei combustibili non convenzionali, a costi di produzione crescenti ma con quantità che anche in prospettiva rimangono adeguate alla domanda. Scompaiono le speranze di un ritorno a prezzi bassi del petrolio, ma si attenuano anche i catastrofismi. Non vi sono differenze molto grandi tra uno scenario e l’altro, con una tendenza a una crescita graduale e progressiva dei prezzi che intorno al 2025-2030 vengono generalmente previsti intorno ai 150 dollari americani (2011)/barile e successivamente in lenta crescita.


Le altre fonti energetiche
Le maggiori diversità di opinioni riguardano le altre fonti energetiche; non tanto il nucleare, che in quasi tutti i modelli rimane presente con un contributo complessivamente marginale e solo in alcuni casi in crescita assoluta ma non percentuale (e per il quale poco contributo sembra attendersi dalla IV generazione; e anche al di là del 2050 è difficile trovare traccia della fusione nucleare); quanto piuttosto per il futuro delle fonti rinnovabili, che in alcuni scenari mantengono un ruolo relativamente minoritario anche al 2050 e oltre, mentre in altri raggiungono una grid parity abbastanza generalizzata e vengono quindi spinte avanti da pure considerazioni economiche.


I trasporti
Mentre sull’aumento generalizzato dell’efficienza energetica negli edifici e nell’industria vi sono ipotesi tutto sommato consistenti tra i vari modelli, ci sono visioni molto contrastanti per quanto riguarda i trasporti: settore chiave per la sua pressoché totale dipendenza dal petrolio, perché è il settore nel quale i consumi crescono maggiormente, perché ha fatto pochi passi avanti negli ultimi anni (e anche qualche passo indietro) e perché le soluzioni possibili sono molte ma nessuna convince.
Non è strano che gli scenari sviluppati dalle grandi compagnie petrolifere prevedano una vita ancora lunga per le auto a benzina (o diesel), sia pure nella versione ibrida (ma non a carica esterna, o plug in); ma come eventuale superamento di questo mezzo vedono qualche altro combustibile liquido (a cominciare dai biocarburanti) piuttosto che non l’auto elettrica.

 
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