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Basta con la sbornia delle rinnovabili a tutti i costi! Stampa E-mail
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di Giuseppe Gatti



L’insostenibile pesantezza delle rinnovabili: sia che l’analisi sia svolta top-down o condotta invece bottom-up (per usare la terminologia di moda) i risultati comunque convergono. Stiamo sottoponendo i consumatori ad uno stress da bolletta che deriva dal singolare intreccio tra nobile (quanto astratta) ideologia ecologica e speculazione finanziaria, senza alcuna verifica empirica del reale rapporto costi-benefici su cui dovrebbero basarsi scelte razionali.
Con una decisione insieme di onestà intellettuale e di intelligenza politica, l’AEEG ha reso di pubblica evidenza gli effetti della politica di incentivazione alle rinnovabili (e soprattutto del fotovoltaico) seguita negli ultimi anni. Come è noto, la revisione delle tariffe per il secondo trimestre 2012 avrebbe comportato un aumento del 9,8 per cento, per il 3,5 dovuto ai più elevati costi di produzione (effetto dei rincari del combustibile), per il 2,3 ai maggiori costi indotti sul sistema di dispacciamento dalla produzione intermittente delle rinnovabili e per il 4 per cento dovuti ancora alle rinnovabili, per la loro incentivazione.

In altre parole, per il 3,5 per cento l’aumento è imputabile al maggior costo del gas e per il 6,3 (direttamente o indirettamente) alle rinnovabili. Tradotto in termini microeconomici (o bottom-up che dir si voglia) per la famiglia media italiana avremmo avuto un aumento su base annua pari a 46 euro, per 16 euro imputabile ai maggiori costi dell’energia in senso proprio e per 30 da ricondurre, direttamente o indirettamente, al sostegno alle rinnovabili. Ritorniamo alla prospettiva top-down.
L’AEEG ricorda che nel 2011 le rinnovabili hanno richiesto incentivi pari a 10 miliardi di euro, non proprio peanuts: detto in altri termini, per ogni kWh consumato si sono pagati 3 centesimi di euro per gli incentivi alle rinnovabili. La cifra può sembrare esigua, dato che ormai ai centesimi non si fa più caso, ma acquista un altro significato se torniamo alla vecchia valuta e diciamo 60 lire, o se, rimanendo all’euro, ricordiamo che il prezzo del kWh, al netto delle rinnovabili, per un consumatore domestico sarebbe sui 10-11 centesimi di euro.

Le rinnovabili insomma fanno salire il costo dell’energia di un buon 30 per cento, che non è poco. Allo stesso risultato arriviamo se ragioniamo in termini macro: per il 2011 si può ragionevolmente stimare che il costo complessivo dell’energia elettrica sul mercato italiano si sia collocato intorno ai 30 miliardi di euro. Aggiungerne 10 vuol dire farne salire il costo di oltre il 30 per cento. Per un Paese che ha il problema dell’energia tra le più care d’Europa, con pesanti ripercussioni sulla competitività del suo apparato industriale, non è un aggravio indifferente.
In ogni caso, l’aumento è inevitabile e l’AEEG non poteva fare altro che spalmarlo nel tempo: ha quindi provveduto ad aggiornare le tariffe immediatamente per le componenti direttamente legate al costo dell’energia e agli oneri di dispacciamento, rinviando di un mese quello dovuto agli incentivi, con un esplicito invito ad una riflessione sull’esigenza di recuperare un punto di equilibrio sostenibile nel tempo tra sviluppo delle rinnovabili e costo del sistema elettrico. È un invito rivolto al Governo, ma che in realtà riguarda tutta la collettività e in primis gli operatori energetici.

Ora è difficile cogliere questo obiettivo, perché ormai gli eccessi legati al fotovoltaico e soprattutto al terzo Conto Energia (e al decreto “Salva Alcoa”, che in ogni caso l’Alcoa non l’ha salvata), non sono più rimediabili. Si possono tuttavia limitare i danni. Guardando anzitutto le cose come stanno, senza farsi ingannare da tesi che si fondano su di una macroscopica manipolazione dei dati. Mi riferisco alla vulgata che attribuisce al fotovoltaico il merito di aver ridotto i prezzi alla punta. Verissimo, salvo che sono aumentati i prezzi nell’off peak, come è ovvio, perché i costi fissi devono in qualche modo essere recuperati e se questo non è possibile sulla punta, saranno maggiormente caricati sulle altre ore. Non per nulla nelle ultime settimane abbiamo avuto prezzi in F2 superiori a quelli in F1.

Aggiungiamo: dal momento che il fotovoltaico, come l’eolico, non sono programmabili e hanno un loadfactor limitato (in media 1.300 ore il FV, 1.800 ore l’eolico) bisognerà sempre tenere in riserva un’adeguata potenza termoelettrica che in qualche modo (attraverso il capacity payment) si dovrà remunerare, con un costo non evitabile.

Bisogna insomma rinsavire dalla sbornia di rinnovabili ad ogni costo, puntando su di un fotovoltaico che sia associato a consumi (quindi al solare sui tetti delle abitazioni o di altre utenze, terziarie o industriali) e ad un eolico solo in condizioni di effettiva ventosità. Sinora si è ragionato in termini di MW, senza considerare i costi (si veda il Piano di Azione Nazionale) o, ultimamente e troppo tardi, in base ai costi, senza più tener conto dei MW. È troppo chiedere di incominciare a ragionare con raziocinio, accoppiando MW e costi?

 
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