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Dopo Fukushima, i giapponesi dicono la loro Stampa E-mail
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di Elio Smedile


I fatti sono i seguenti. Il 26 gennaio 2012 nel corso di un reportage mandato in onda dall’azienda pubblica giapponese per la radiotelevisione NHK veniva annunciato che, con l’arresto del reattore numero 2 della centrale di Shimane, erano fuori servizio ben 51 dei 54 reattori giapponesi e poiché i 3 reattori superstiti avrebbero dovuto, a breve, essere sottoposti alle manutenzioni programmate, vi era la concreta possibilità che il Giappone si trovasse in aprile senza centrali nucleari operative.
La notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa di tutto il mondo (Italia compresa) facendo sorgere - per la prima volta dopo i gravissimi incidenti nucleari di Fukushima del marzo 2011 - seri dubbi sulle reali prospettive del mantenimento in Giappone di una residua capacità nucleare. Da dove nasceva il sospetto che questa condizione - peraltro transitoria per definizione - potesse diventare l’anticamera di una vera e propria uscita del Giappone dal nucleare? Anzitutto dalle prese di posizione dei massimi esponenti delle istituzioni nazionali giapponesi.

Naoto Kan, primo ministro durante l’evento Fukushima e dimissionario dal 26 agosto 2011, aveva affermato nel luglio dello stesso anno: “Dobbiamo imparare dal disastro avvenuto […] dobbiamo scegliere una società dove i cittadini possano vivere senza gli impianti nucleari”. Più sfumata, viceversa, la presa di posizione del suo successore Yoshihiko Noda che, nel discorso inaugurale da primo ministro affermò: “Non è realistico costruire nuovi reattori o estendere la durata di quegli impianti che sono vicini alla fine della loro vita utile, ma è altrettanto irrealistico pensare che si possa immediatamente ridurre a zero la nostra dipendenza dal nucleare”. Non siamo di fronte all’abolizione globale, ma comunque di un ridimensionamento piuttosto drastico si tratterebbe, con la cancellazione dei programmi di rilancio dell’atomo e la chiusura delle numerose centrali che hanno superato o stanno per superare la soglia dei 40 anni. [...]



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