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Besseghini: ‘‘Strategie condivise a servizio del Paese” Stampa E-mail
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di Davide Canevari



Contro il perdurare della crisi internazionale, la ricerca resta uno degli antidoti universalmente più sollecitati e condivisi.
Le ricette – dettate da economisti, politici, amministratori pubblici, esperti dei più disparati rami del comparto produttivo – sono tutte concordi sulla sua efficacia. Eppure la realtà dei fatti sembra andare nella direzione opposta. E l’Italia continua ad essere descritta come un Paese dove gli investimenti in R&S sono in costante calo e in coda alle priorità del Paese. Dunque, trattasi di vera medicina o di semplice palliativo mediatico? Parte da questo spunto l’incontro di Nuova Energia con Stefano Besseghini, amministratore delegato di RSE.

“È certamente una cura salva vita – risponde Besseghini – e quindi di vitale importanza. Ma deve essere considerata nel giusto contesto. Proseguendo nella metafora direi che è terapia cronica, non per acuti. È forse l’attività più pregevole che una struttura sociale può darsi; è un primum movens da cui i sistemi industriale, economico, sociale, di un Paese devono poter prelevare i semi necessari per il proprio sviluppo. Eppure, immaginare che la ricerca da sola possa costituire la soluzione è alquanto naif. Il vero problema è la comprensione delle potenzialità di questo strumento da parte di coloro che poi devono prendere le decisioni e andare oltre le semplici dichiarazioni di principio. E, soprattutto, non devono caricare la ricerca di aspettative che non le sono proprie”.



Ad esempio?
**La ricerca deve inserirsi in un sistema più complesso e articolato; è uno strumento dal potenziale eccezionale, ma – come detto – non è la panacea di tutti i mali. Pensare che sia in grado di risolvere già oggi tutti i problemi sui quali è chiamata ad operare, o che sia in grado di mettere sul mercato prodotti industriali pronti per l’uso in un domani molto ravvicinato è un errore di base. Le soluzioni di brevissimo periodo chiavi in mano e già confezionate non spettano alla ricerca; non le può dare.


Un po’ a sorpresa, parlando con gli addetti ai lavori, si sente spesso ripetere che le risorse non sono il vero problema e altre sono le criticità...
** Per quanto riguarda la ricerca condivido questa affermazione; per lo sviluppo e per l’innovazione è invece tutta un’altra storia. La ricerca ha bisogno soprattutto di persone e di competenze e quindi non servono necessariamente enormi risorse. Naturalmente esistono le eccezioni: penso, ad esempio, alle grandi infrastrutture di ricerca. Direi piuttosto che servono risorse stabili o, meglio, programmate e deve essere sostenuta una rete di relazioni stabili tra soggetti in grado di operare in maniera interdisciplinare. Tutti gli aspetti organizzativi che limitano lo sviluppo di relazioni tra le discipline minano la possibilità di fare buona ricerca.
Poi è importante la capacità di appoggiarsi ad un humus di strutture già esistenti in grado di sollevare la ricerca stessa da inutili costi economici e perdite di tempo; costituire una filiera di supporti che non costringano l’ente di ricerca a ripartire ogni volta da zero e a farsi tutto in casa.

Proviamo a guardare nella casa della ricerca pubblica.
**Forse si dovrebbe fare una riflessione sui vincoli che derivano dal concetto stesso di pubblica amministrazione. Quando la capacità di spesa di risorse già disponibili viene ingabbiata da lacci e laccioli (certamente necessari in un Comune o in un ente pubblico che eroga servizi) si legano le gambe a strutture che invece devono potersi muovere rapidamente nell’arena internazionale. Non amo le zone franche ma credo che qualcosa si dovrebbe studiare per la ricerca pubblica; anche a saldi invariati! Detto questo, non credo nell’efficacia del co-finanziamento (strumento, invece, doveroso nelle attività di sviluppo).

             
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“It is truly vital to give our contribution to creating a genuine environmental culture that aims to save energy, by offering services and products that favour lower consumption”. That’s the firm belief of miguel antoñanzas, chairman and Ceo of e.on Italia, who reaffirmed the group’s commitments in the fields of culture, industry, trade and support to research.
Strongly oriented towards renewables, e.on was listed again in 2011 on the Dow Jones Sustainability Index including companies that boast the best sustainability performance worldwide. the company has recently launched one more initiative combining energy with care for the environment: all those who sign a E.ON GasVerde gas supply agreement will contribute firsthand to planting a tree in a wood (named E.ON Woods) in the milan area.
We are faced with a deep change, which also affects our lifestyles, whereby using energy and earth’s resources in a rational way becomes an imperative.
“Big changes start with small gestures” says antoñanzas. surveys show that 50,8% of Italians are aware of the issues of sustainability, with a 48,6% choosing, whenever possible, environmentally friendly products. moreover, when recession sets in, people and companies are more willing to explore daily power consumption reduction options that imply slight changes in technology and in habits.*

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Per quali ragioni?
**La ricerca, per definizione, deve percorrere strade ad alto rischio. Deve quindi poter contare su una grande fiducia (nelle fasi iniziali), su un finanziamento pieno (durante lo svolgimento) e su stringenti verifiche ex-post.
All’esploratore devono essere forniti i migliori strumenti perché possa avventurarsi su terreni sconosciuti nelle migliori condizioni possibili. Inoltre, deve essere certo di poter contare sulla fiducia piena di chi lo ha mandato in avanscoperta. Non è detto che scoprirà sicuramente qualcosa; questo lo si saprà solo dopo, al suo ritorno. Ma l’eventuale successo dipende in buona misura dalle condizioni di partenza.


Un altro aspetto da approfondire è quello dei temi della ricerca. A volte si ha l’impressione che siano calati dall’alto e poco in sintonia con le reali esigenze del settore produttivo.
**La Ricerca di Sistema, per molti versi, è la quintessenza della visione un po’ verticistica della ricerca. E questo, a mio avviso, è un vulnus poiché la espone al rischio di risultare scarsamente collegata con gli stakeholder industriali e produttivi.


Cosa serve allora?
**Una logica negoziale e dialettica che superi i limiti della programmazione top down e, al contempo, le inefficienze di quella bottom up che ha inevitabilmente una visione da follower e tende sempre a ragionare in termini di breve o brevissimo periodo.


In concreto?
**Dove si può esprimere efficacemente un meccanismo dialettico? Proprio nei centri di ricerca che si trovano a metà strada tra le due componenti e che possono sintetizzare al meglio le due spinte altrimenti non di rado contrapposte. Il mondo della ricerca può davvero creare un’interazione stretta tra il decisore e il mondo industriale, promuovendo un tavolo a tre che costituisce la soluzione al problema.


Poi c’è l’aspetto della meritocrazia, che tutti invocano. Come si declina nel settore della R&S?
**declina nel settore della R&S? Nel nostro ambito, più che mai, ha senso parlare di meritocrazia: la ricerca è fatta di individui e poche altre attività riconoscono un valore centrale alla persona come la ricerca. L’ambizione di ogni buon ricercatore è quella di diventare il principal investigator, il punto di riferimento della propria struttura; la giusta competizione tra individui è un fattore di crescita importante. Anche per questo penso che la formula vincente sia: poca valutazione ex ante tanta valutazione ex post e soprattutto centralità della responsabilità personale.
Vede, la ricerca è un ambito fortemente competitivo, e in questo assomiglia un po’ allo sport. Come appare normale che un atleta non possa mantenersi ai vertici del proprio settore sine die credo che un meccanismo analogo potrebbe essere attivo nel settore della ricerca. Quando i risultati cominciano a non venire devono essere possibili altre attività, un bravo atleta spesso fa l’allenatore o il manager o il talent scout. Il nostro sistema della ricerca invece, spesso si ingolfa.


Questo in un mondo ideale. La realtà dei fatti, invece...
**Purtroppo proprio in questo campo si evidenzia un forte limite della ricerca italiana (è ciò vale anche per RSE). Soprattutto ai più giovani non viene data piena responsabilità e libertà di azione; e si moltiplicano i controlli ex ante e in itinere. Parlando con nostri ricercatori in fuga all’estero un aspetto che spesso emerge non è solo il miglior trattamento economico o la disponibilità di infrastrutture; è soprattutto la percezione di poter sviluppare in autonomia il proprio progetto di ricerca, di essere posti nella condizione di sviluppare e dimostrare la bontà delle proprie idee. Questo dovremmo soprattutto perseguire anche in Italia.


Ma quali sono le controindicazioni dei controlli ex post?
**In realtà non ne vedo. La valutazione al termine di un programma di ricerca è anche più facile perché chi deve giudicare può basarsi su elementi concreti, su dati, su cifre.


Già, ma chi deve valutare?
**Dipende. Nella ricerca è la stessa comunità dei ricercatori (come già oggi succede, ed è un meccanismo che tutto sommato funziona). Se sto parlando di sviluppo, invece, è il settore industriale che certifica l’esito con il suo interesse (o meno) nei confronti di un determinato progetto. Se, infine, guardiamo all’innovazione, è il mercato che decide e decreta il successo.


E il problema del trasferimento dei risultati?
**Credo che sarebbe un non problema se a monte avessimo una sana relazione fra i tre mondi (decisori, stakeholder, ricercatori) e se li si facesse dialogare fin dalla fase progettuale e di definizione dei progetti. È lì che nasce il processo di trasferimento e condivisione.

E in tutto ciò il cittadino comune sembra comunque rimanere un soggetto estraneo.
**Per questo è fondamentale incrementare la divulgazione scienti- fica non limitandosi agli ambiti tecnici e specialistici, e anzi puntando a un obiettivo di amplissimo spettro. Stiamo subendo un analfabetismo di ritorno della cultura scientifica, che è drammatico e preoccupante. E ciascuno di noi che lavora in questo settore dovrebbe rendersene conto e attivarsi in merito.

Da dove si parte?
**Dai più giovani, dalla scuola elementare. Se ci fosse un progetto per finanziare una task force di neo pensionati di Enea, CNR, RSE che si mettano a disposizione del sistema scolastico ai vari livelli (dagli alunni più giovani agli insegnanti), lo sottoscriverei subito. Il nostro Paese ha certamente le risorse e le competenze per farlo; bisogna solo orientarle con un approccio strutturato. Quello che manca ai ragazzi di oggi non sono le nozioni o le informazioni, ma gli strumenti critici e la capacità di discriminazione. Ma, soprattutto, manca una percezione storica e metodologica dell’attività di ricerca. Scienza e tecnologia non sono solo aspetti del processo produttivo ma grandi imprese fatte da uomini le cui avventure meritano di essere raccontate perché sono esempi.

In questi ultimi mesi Nuova Energia ha avuto modo di scoprire e di raccontare alcune eccellenze della R&S Made in Italy, che però fanno fatica a trovare spazio sulle pagine dei mass media. Evidentemente fanno più notizia le critiche ed è più facile continuare a ragionare per luoghi comuni sulla povera Italia della ricerca...

**Effettivamente la ricerca italiana è in grado di esprimere menti di significativa e assoluta eccellenza. Il problema è che costruiamo, inventiamo, e poi spesso ci facciamo scippare dagli altri i risultati del nostro lavoro. È questo il problema drammatico, già sperimentato tante volte in passato (si pensi a Natta, ai microprocessori, alle innovazioni nel campo degli acciai). Sarei anche contento se continuassimo a non fare notizia con le nostre ricerche, ma fossimo poi in grado di attivare una filiera produttiva e nuove iniziative imprenditoriali. Saranno poi quelle a fare notizia, magari in termini di incremento di fatturato dell’industria nazionale. Fiat si è comprata Chrysler mettendo sul piatto tre brevetti frutto della loro attività di ricerca, di quei brevetti nessuno aveva parlato fino a che non sono serviti. Ma credo che nessuno si lamenti.
Per questo insisto tanto sulla necessità di promuovere relazioni strutturate e di lungo periodo, senza concepire il dialogo tra ricerca e impresa come un fatto estemporaneo bensì come percorso condiviso e duraturo. Da questo punto di vista anche la prossimità territoriale non è un elemento banale. Inutile posizionare un centro di ricerca dove non c’è nulla, sperando che questo possa poi stimolare la nascita di nuova imprenditoria. Vale casomai l’opposto. Dove già esiste un certo tessuto produttivo ha senso posizionare realtà di ricerca.

Come è vista all’estero la ricerca italiana?
**Con grande rispetto. A livello internazionale sono molto numerosi i casi in cui la ricerca italiana sa esprimersi in modo autorevole e sa ricoprire posti chiave. Il problema è che è spesso il merito di singole individualità. Quella che, magari, non viene apprezzata è la Sindrome da Armata Brancaleone, ovvero i limiti (palesi) della nostra organizzazione e capacità di programmazione.

Stiamo al concreto.
**La presenza internazionale di RSE, ad esempio, risponde più alla visione illuminata di singoli individui che alla razionale programmazione e scelta di temi di interesse, alla luce di una strategia industriale o energetica nazionale. Per questo è necessario frequentare la palestra internazionale con assiduità e preparazione e certi di perseguire obiettivi di interesse del nostro sistema produttivo. Negli anni RSE si è caratterizzata proprio per aver costituito una presenza sistematica scegliendo argomenti mirati. E questa scelta ci sta premiando.

Nel suo recente passato RSE ha avuto momenti difficili e una storia un po’ travagliata. Siete finalmente approdati a un porto più sicuro?
**Mi piace pensare di sì (poi saranno i fatti a descrivere la realtà delle cose). È fondamentale che una struttura come la nostra possa appoggiarsi sulle spalle di soggetti solidi, che la possano supportare, guidare, utilizzare nel modo più efficace. Negli anni scorsi non è sempre stato così e questo ha reso più travagliato il percorso. L’ingresso in GSE, quindi in un Gruppo che costituisce un preciso punto di riferimento e dà la necessaria stabilità, ci rende ora più sereni. Questo non vuol dire che possiamo sederci. Dobbiamo, anzi, continuare a parlare con tutti i nostri interlocutori, in particolare con il mondo industriale, promuovendo il già citato tavolo a tre per avere una vera visione di sistema delle esigenze che il Paese ha in termini di ricerca.

Infine un esercizio di estrema sintesi. Potrebbe in poche righe spiegare al Paese perché oggi è strategica una struttura come RSE?
**Direi tre motivi. In primo luogo, per l’attenzione che dedica al tema delle reti energetiche. Può sembrare banale, ma occorre ribadirlo: senza reti non esisterebbe alcun mercato energetico. Sono l’indispensabile tessuto connettivo di ogni altra variabile energetica. E l’approccio multidisciplinare e transdisciplinare a questo tema è uno degli elementi caratterizzanti dell’esperienza di RSE e del suo know-how.
Un secondo elemento è la smartness, intesa come velocità di reazione al cambiamento di scenario, ovvero la possibilità di spostarsi da un tema all’altro in modo rapido e proattivo.
Il terzo elemento è quello della terzietà ed autonomia che, se poteva essere un aspetto marginale nel mercato monopolista diventa un elemento centrale in un mercato libero su un settore tanto rilevante per il Paese quale quello energetico.
Ci sono due elementi che rendono possibile tutto ciò e che vanno preziosamente custoditi: la disponibilità di un fondo stabile di risorse su cui è possibile costruire visioni strategiche di medio periodo. Alcuni aspetti nella gestione di questo fondo potrebbero essere migliorati e con grande sensibilità il MiSE ci ha messo mano, ma rimane il fatto che è uno dei pochi esempi in Italia di finanziamento stabile ad un settore tecnico scientifico. Poi, la dimensione stessa di RSE, un soggetto sufficientemente grande da esprimere una massa critica credibile nella propria presenza sui temi di indagine e a livello internazionale, ma al tempo stesso non così grande da non potersi riorientare prontamente sulle esigenze e sulle linee strategiche del Paese.

 
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