di Michele Governatori | direttore affari istituzionali e regolamentari EGL Italia


In prossimità del varo del nuovo decreto legge 1/2012 Crescitalia, l’informazione anche generalista, e anche televisiva, si è giustamente concentrata in approfondimenti su quanto si possa fare per rendere più efficiente la competizione nei mercati energetici italiani, e i riflettori si sono accesi in particolare sul mercato del gas. Perché è meno competitivo di quello elettrico? Quanto può giovare la separazione proprietaria della rete dei gasdotti italiani ad alta pressione? Dov’è il collo di bottiglia rispetto all’Europa?

Non c’è dubbio che il gap di convenienza del gas italiano rispetto a quello negli hub centroeuropei si sia allargato ultimamente (toccando valori attorno ai 10 euro/MWh, più di un terzo del prezzo estero). Il prezzo spot italiano infatti è salito quasi stabilmente dalla fine del 2009 fino a tutto il 2011, più che raddoppiando da circa 15 a circa 33 euro/MWh – invertendosi solo lo scorso gennaio con una riduzione media di circa 2 euro rispetto alla fine dell’anno precedente – mentre gli hub europei hanno visto una diminuzione dovuta anche alle minori importazioni degli Stati Uniti che hanno ridiretto in Europa un po’ di navi metaniere.

Inevitabile l’effetto di scarsa competitività relativa dei prezzi italiani dell’energia elettrica rispetto a quelli esteri, pur in un contesto in cui le nostre centrali a gas, in uno scenario di concorrenza da parte di fonti a minor costo marginale, hanno smesso da tempo di remunerare qualunque costo diverso da quelli marginali (gas appunto, e certificati ambientali). Tutta colpa delle quote della rete gas italiana in mano a Eni? Certamente no. Com’è certamente vero, d’altra parte, che...[...]

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