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IL GIORNALIERO - L’oil&gas dell’Angola fa sempre più gola (a Cina e Stati Uniti) Stampa E-mail

19 ottobre 2011 - Nella politica energetica della Cina (e degli Stati Uniti) l’Angola è uno degli Stati che riveste la massima priorità. Non lo dice apertamente l’ultimo rapporto dalla US Energy Administration sulla travagliata nazione africana, ma la cosa traspare in maniera inequivocabile. Oggi l’Angola è il secondo produttore di petrolio nel Continente Nero, quello che registrato i tassi di sviluppo più sostenuti (più 147 per cento dal 2000 ad oggi), e mantiene ancora margini di crescita già nel breve periodo. Ma, dato ancor più significativo, è il secondo fornitore della Cina (dopo l’Arabia Saudita) e l’ottavo degli States.
Attualmente l’Angola esporta praticamente tutto il petrolio che estrae (1,85 milioni di barili/giorno nel 2010), consumando al proprio interno qualcosa come 50 mila barili/giorno. Meno di una goccia. E vede proprio in Stati Uniti e Cina i suoi due migliori clienti verso i quali indirizza, rispettivamente, il 23 per cento e il 45 per cento dei volumi estratti. Un doppio legame molto, molto stretto.
La Cina non è – chiaramente – solo un buon cliente. In loco è presente con investimenti diretti dell’ordine di parecchi miliardi di dollari effettuati dalla China Petroleum & Chemical Corporation (Sinopec) e dalla China National Offshore Oil Corporation (CNOOC). Ma anche le big company occidentali - Chevron, ExxonMobil, Total, Eni, BP - hanno un ruolo di assoluto rilievo.
E non è solo una questione di oil. Le riserve accertate di gas naturale a settembre 2011 risultavano sei volte superiori rispetto a quanto stimato solo nel 2007. E nuovi ulteriori giacimenti sono in corso di valutazione. Nel 2012 dovrebbe, inoltre, debuttare il primo terminal di gassificazione per l’LNG, con il duplice vantaggio di ridurre il gas flaring e di inserire l’Angola tra i Paese esportatori di questa commodity.

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