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IL GIORNALIERO - Sorpresa! C’è un settore nel quale la ricerca italiana è ai vertici mondiali Stampa E-mail

10 ottobre 2011 - La ricerca italiana ai vertici mondiali. Con un livello tale di competenze da richiamare esperti stranieri desiderosi di confrontarsi con le nostre conoscenze (altro che fuga dei cervelli tricolori). Un nostro Istituto riconosciuto da Bruxelles come guida dei due più importanti programmi europei di studio nel proprio ambito di competenza. Non è fantasia né fantascienza, ma – più semplicemente – quello che succede nel comparto della geofisica e della vulcanologia.
“L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) – dichiara con orgoglio il nuovo presidente Domenico Giardini, a poche settimane dal suo insediamento – è al numero uno al mondo per la vulcanologia e tra i primi tre nella sismologia. Inoltre, detiene due leadership in altrettante grandi infrastrutture europee della geofisica: EPOS (European Plate Observing System) e EMSO (European Multidisciplinary Seafloor Observatory).
Questo per noi, e più in generale per l’Italia, è un riconoscimento a dir poco significativo”. Cose dell’altro mondo... che il mondo dei mass media tende a dimenticare quando si parla della ricerca Made in Italy e si sciorinano statistiche sulla competitività del nostro sistema di R&S che ci posizionano – immancabilmente – in zona retrocessione.
Ma come si è giunti a questa eccellenza? “Il nostro è sempre stato un settore - conferma Giardini - fortemente stimolato da esigenze contingenti e, direi, endogene al nostro Paese (vulcani e terremoti). Questo ha permesso di creare una massa critica di ricercatori, all’interno di enti e Università, che oggi ha portato l’Italia ai vertici internazionali. Nella ricerca, l’exploit isolato o limitato a un ambito troppo ristretto è comunque positivo, ma da solo non può certo bastare. Occorre integrare varie competenze e vari settori, dalla scienza pura alle applicazioni sul mercato, coprire l’intera filiera. Solo così ci può essere vera eccellenza riconosciuta anche all’estero”.
Sarebbe cosa buona se anche il settore energetico – al quale certo non mancano né esigenze contingenti, né spinte endogene al cambiamento... – fosse in grado di fare tesoro di queste esperienze.

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