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IL GIORNALIERO - La raffinazione non è più un business? Ditelo al Vietnam... Stampa E-mail

7 luglio 2011 - La bussola punta decisamente verso Est. Sud Est per l’esattezza. E non solo in direzione della Cina, che sarebbe, ormai, cosa scontata e poco sorprendente. La geografia mondiale degli idrocarburi, e in particolare della raffinazione del petrolio è in una fase di profonda transizione, come ha più volte segnalato Nuova Energia. Così, quella che dal punto di osservazione dei Paesi occidentali è, senza giri di parole, una situazione di crisi, in Medio Oriente ed Asia sembra invece concretizzarsi come una nuova opportunità.
Tra i Paesi che sembrano intenzionati a non perdere l’occasione figura anche il Vietnam che - sottolinea una nota del nostro Istituto per il commercio estero - ha appena approvato un piano da 22 miliardi di euro per potenziare la propria capacità industriale nel settore petrolifero.
I progetti varati dal locale Ministero dell’industria e del commercio prevedono la costruzione di sette nuove raffinerie antro il 2020, con una capacità globale di raffinazione pari a 45-60 milioni di tonnellate l'anno. Non si fa mistero del fatto che tali investimenti sono volti a rispondere al previsto aumento della domanda interna, ma che guardano anche (soprattutto?) al mercato delle esportazioni.
“Sarà inoltre accelerata la costruzione di altri impianti – prosegue la nota dell’ICE - già in cantiere, quali i complessi petrolchimici e di raffinazione di Nghi Son, Nam Van Phong e Long Son, ciascuno con una capacità di 10 milioni di tonnellate all’anno. Anche la raffineria di Dung Quat, in provincia di Quang Ngai, già operativa, sarà portata a una capacità di 10 milioni di tonnellate l’anno”. Un ulteriore impegno finanziario riguarderà il massiccio potenziamento della rete interna di oleodotti.

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