16 giugno 2011 - Sono le due facce di una stessa medaglia. Ma è come se, quella medaglia, fosse coniata con due metalli diversi. Da una parte oro, dall’altra piombo. Le infrastrutture sono preziose, anzi indispensabili, per la crescita economica di un territorio e per la sua competitività. Ma, nel contempo, sottraggono territorio e aumentano il fenomeno della impermeabilizzazione, di recente segnalato dagli esperti della Commissione europea come uno dei grandi mali del Vecchio Continente (vedi il Giornaliero del 25 maggio - La Ue torna coi piedi per terra... e la scopre invasa da asfalto e cemento).
In medio stat virtus si diceva quando ancora cemento armato, rotaie e asfalti drenanti non erano minimamente conosciuti (ma già si sapeva come costruire le vie di comunicazione, eccome). Una massima che l’Italia sembra aver perso per strada, almeno negli ultimi 20 anni.
Nei giorni scorsi Eurostat ha pubblicato alcuni dati di aggiornamento sulla dotazione infrastrutturale dei Paesi comunitari; uno in particolare ha colpito la nostra attenzione. È quello che fotografa l’espansione della rete autostradale nel periodo 1990-2010, nelle varie aree continentali.
Ebbene, nelle prime dieci posizioni figurano otto regioni spagnole e due francesi. Addirittura, le prime sette posizioni sono tutte ad appannaggio della Spagna. Al top assoluto Andalusia e Castilla y Leòn, con quasi 1.500 chilometri ciascuna di nuove autostrade inaugurate tra il 1990 e il 2010. A seguire, dalla decima alla quindicesima posizione, altre due regioni spagnole, una francese, una irlandese e una svedese.
Colpisce - ma non troppo - la totale assenza dell’Italia. Forse che già nel 1990 aveva raggiunto il suo livello ottimale di sviluppo delle autostrade? Oppure da allora ha avuto una evoluzione della propria economia timida e timorosa, senza bisogno di nuove vie di collegamento per supportarne l’espansione? A parte la Salerno-Reggio Calabria, naturalmente, fiore all’occhiello della nuova stagione infrastrutturale del Bel Paese!

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