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IL GIORNALIERO - La Ue torna coi piedi per terra... e la scopre invasa da asfalto e cemento (1) Stampa E-mail

25 maggio 2011 - Per troppo tempo l’Europa ha puntato lo sguardo (ambientale) solo verso l’alto, preoccupandosi della qualità dell’aria, dell’effetto serra, dei cambiamenti climatici. Ora, però, sembra voler tornare (anche) con i piedi per terra, accorgendosi che di terra da calpestare ce n’è sempre di meno. L’allarme è partito ieri con la pubblicazione di un nuovo studio sull’espansione dell’impermeabilizzazione del suolo comunitario.
Elegante formula per definire la diffusione crescente di aree cementate o coperte da asfalto. Che - a sua volta - è forse un modo un po’ ingeneroso di rilevare la crescita delle aree urbane (in cui tutti noi viviamo, compresi gli estensori dell’allarmato rapporto) e l’espansione delle infrastrutture di trasporto e viabilità (sono anni che Bruxelles ne sottolinea l’importanza per la tenuta economica del Vecchio Continente).
Insomma, l’Europa vuol continuare a crescere, lo fa secondo modelli canonici e condivisi (a livello planetario) di sviluppo urbano e infrastrutturale e questo ha le sue conseguenze.
Gli esperti della Commissione europea stimano una perdita ogni anno di una superficie di terreno naturale equivalente a un’area più estesa di Berlino; una tendenza insostenibile che rischia di compromettere la disponibilità di terreni fertili e riserve idriche per le generazioni future.
I dati sono effettivamente di rilevo. “Tra il 1990 e il 2000 nell’UE sono stati cementificati almeno 275 ettari di terreno al giorno, per un equivalente di 1.000 chilometri quadrati l’anno. La metà di questa superficie è impermeabilizzata in via definitiva da edifici, strade e parcheggi. Negli ultimi anni si è registrato un rallentamento di questa crescita a 252 ettari al giorno, ma lo sfruttamento del terreno prosegue a ritmi preoccupanti. Tra il 2000 e il 2006 nell’UE l’aumento medio di aree trasformate è stato pari al 3 per cento, con picchi del 14 per cento in Irlanda e Cipro e del 15 per cento in Spagna”. Fin qui la diagnosi. E la possibile cura?

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