di Davide Canevari
Quando si cita un’impresa energivora, viene subito spontaneo pensare ai grandi impianti: le acciaierie, i cementifici, le industrie di trasformazione, le catene di montaggio del settore automotive. Elenco ineccepibile, ma non certo esaustivo.
All’appello manca, ad esempio, il comparto agricolo. Qualcuno forse potrà essere colto di sorpresa da questa affermazione, ma specialmente per le produzioni nostrane ad alto valore aggiunto l’energia è divenuta una commodity di primaria importanza... anche nel settore primario. E l’andamento delle quotazioni del greggio finisce inevitabilmente per condizionare i costi e le scelte di una moderna impresa agricola almeno quanto l’evoluzione del meteo. Un solo dato al riguardo.
Nei primi due mesi del 2011 in Italia il consumo di gasolio agricolo (che non viene impiegato solamente dai trattori) è stato pari a 156 mila tonnellate, in crescita del 22 per cento rispetto al 2010. Si tratta di un volume tre volte superiore rispetto all’intero ammontare dei consumi del gasolio nell’ambito nautico e navale.
Non c’è infatti bisogno di scomodare una farm all’americana per dover quantizzare i consumi di gasolio di una unità produttiva in parecchie decine di tonnellate/ anno e per misurare una bolletta elettrica in centinaia di MWh. Nuova Energia ha scelto di approfondire questi temi assieme a Mario Guidi, da poco eletto alla presidenza di Confagricoltura.
Quanto è importante, oggi, il fattore produttivo energia nel vostro campo di attività?
**Il fabbisogno di energia, soprattutto per alcune filiere, è uno dei fattori di produzione più importanti che spesso incidono in termini di costi in modo preponderante, come nel caso del florovivaismo o dell’essiccazione dei cereali e dei foraggi. Per capire l’importanza dell’energia per il settore agricolo occorre anche ricordare l’irrigazione, che contribuisce in modo determinante alla qualità e quantità delle produzioni; un uso di energia, soprattutto elettrica, non solo all’interno delle aziende agricole ma anche e soprattutto da parte dei consorzi di bonifica che mettono a disposizione degli agricoltori l’acqua.
Anche se è difficile paragonare un’azienda agricola ad una grande impresa energivora industriale, va sottolineato che il consumo energetico del settore agricolo è in linea con il Pil del comparto (circa il 2 per cento). I consumi energetici finali interni complessivi d’energia (termica e elettrica) per l’agricoltura nazionale sono compresi tra 4 e 6 Mtep, che rappresentano il 3-5 per cento degli usi fi- nali di energia. Nello specifico dell’energia elettrica, il GSE riporta complessivamente, per il settore agricoltura, un consumo di energia elettrica di 5,7 TWh per il 2009, ovvero l’1,9 per cento del bilancio elettrico nazionale.
Orientativamente l’85 per cento dell’approvvigionamento di energia in agricoltura è da addebitare alla voce carburanti e combustibili, in cui il gasolio agricolo occupa un posto di primo piano; il 15 per cento alla voce energia elettrica.
Come sono aumentati negli ultimi anni i costi della bolletta energetica per il settore e su quali produzioni ha inciso maggiormente questa voce?
**L’andamento dei costi energetici per l’agricoltura segue i corsi del petrolio, ma tende a crescere più della media dei costi complessivi. Nel 2010, a fronte di un aumento medio dei costi agricoli dello 0,5 per cento, l’energia per le imprese dei campi e degli allevamenti è costata il 2,7 per cento in più. Con una punta del 4,7 per cento per i carburanti. Solo i mangimi hanno registrato aumenti maggiori. È chiaro che questi rincari colpiscono maggiormente alcuni comparti più energivori: dalle coltivazioni intensive in pieno campo agli allevamenti, alle coltivazioni sotto serra riscaldata.
Il caro gasolio non pesa solo sulle imprese agro-meccaniche e sull’uso del macchinario. Proviamo a raccontare a un non addetto ai lavori (agricoli) quali altre voci di consumo energetico sono rilevanti in azienda. Ha senso parlare di efficienza e risparmio energetico anche in questo settore e quali margini di miglioramento ci sono? Nelle aziende più strutturate, vedrebbe una figura specifica di energy manager?
**In un’azienda agricola ci sono diversi impianti e attrezzature azionate con combustibili o energia elettrica. Per quanto riguarda le attività, basta ricordare in particolare l’orto-florovivaismo e la produzione di funghi (riscaldamento delle serre), la zootecnia, la trasformazione dei foraggi e dei cereali (essiccazione), la piscicoltura (riscaldamento dell’acqua nelle vasche di allevamento), la conservazione dei prodotti ortofrutticoli (refrigerazione), il sollevamento dell’acqua.
Nel settore agricolo quindi vi è notevole interesse per le opportunità derivanti dal risparmio energetico e dalla sostenibilità ambientale, anche in termini di innovazione tecnologica ed efficienza dei sistemi produttivi. Specifiche figure specializzate come gli energy manager potranno rivestire un ruolo fondamentale, non solo nelle aziende maggiormente strutturate, ma come supporto più generale al settore attraverso mirate azioni di formazione.
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Agriculture: between
energy and environmental protection
“Grossly speaking, fuel and combustion materials account for 85% of energy supply in the agricultural sector, with diesel for agricultural applications ranking first; electrical power accounts instead for 15%”. Mario Guidi, freshly elected chairman of Confagricoltura (the Italian association including 560 thousand farming businesses, with 120 thousand being employers) confirms the close tie of the primary sector with the world of energy and with an ever increasing environmental protection.
“There is strong interest in the opportunities that stem from energy saving as well as from environmental sustainability, also in terms of technological innovation and production system efficiency. Specialized positions such as energy managers could play a key role, not only in better structured companies but also as a general support to this sector on the whole, through targeted training initiatives”.
Guidi does not forget a detailed note on other sensitive topics such as the management of water resources and the role of renewables: “We need to devote more convincing efforts towards a balanced development of all renewable sources according to each territory’s own potentials. Such balance must also be struck between food and non food production, enhancing production process efficiency, putting marginal land to use and promoting the use of byproducts”.
Moreover, land is an asset that must be safeguarded: “We have had cases of areas where infrastructure enlargement has endangered agricultural production potentials. A lot of land was taken away (from farm production) and maybe we could do better than that…”.
Confagricoltura’s chairman also provides us with a description of the ideal farming businessman profile: “He/she should pay attention to the setting where he/she works, manage natural resources under his/her care with a sustainable approach, making them newly available, enriching and enhancing their use by the community. In this respect, he/she should make country areas more similar to urban ones. He/she should also be a player on the global market, following Stock price trends on international Stock Exchanges and being flexible when making choices aimed at meeting demand; he/she should also activate latent needs in consumers with suitable marketing strategies”. Well, quite an all-round role…
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Recentemente si è parlato di un’opportunità in più per l’agricoltura italiana: quella di produrre energia da fonti rinnovabili. Eolico, fotovoltaico, biogas, biomasse vegetali... Come conciliare questa esigenza con la necessità di non snaturare il ruolo primario di questo settore?
**Siamo convinti che le energie rinnovabili siano un’opportunità per il settore per diversificare e integrare i redditi, soprattutto in questo momento in cui l’attività agricola non ripaga sufficientemente le aziende. Ma non è solo questo. Anzi, direi che le energie rinnovabili rappresentano più che altro una sfida per il nostro settore.
L’Unione europea, fissando il raggiungimento di determinati obiettivi in termini di risparmio energetico e soprattutto di incremento di energia da fonti rinnovabili negli usi finali al 2020, ha richiesto un forte impegno da parte degli Stati membri per i prossimi anni. In particolare, è proprio all’agricoltura europea che viene richiesto il maggiore contributo, visto il ruolo determinante riconosciuto alle biomasse per la produzione di biocombustibili e di biocarburanti. È dunque la società civile che chiede al settore di produrre non solo beni alimentari ma anche energia, senza considerare poi che le biomasse aumentano il grado di indipendenza energetica del Paese dalle fonti fossili.
Parallelamente occorre puntare con maggiore decisione verso uno sviluppo equilibrato di tutte le fonti rinnovabili basato sulle potenzialità dei diversi territori. Equilibrio che va ricercato anche tra produzioni food e non food aumentando l’efficienza dei processi produttivi, valorizzando i terreni marginali e promuovendo l’uso dei sottoprodotti.
Un altro problema può riguardare la struttura stessa delle aziende agricole. Quando la dimensione media è (spesso) di pochi ettari o addirittura inferiore, è difficile chiedere all’imprenditore agricolo di produrre anche energia. Quali possibili soluzioni intravede?
**La dimensione fisica delle aziende è importante, ma non è tutto. Certo, riducendo la superficie utilizzata l’agricoltura italiana perde terreno in tutti i sensi: diminuisce anche la sua capacità competitiva e il suo potenziale. In ogni caso quel che conta è la dimensione economica; e anche in spazi ridotti l’energia da fonti rinnovabili può essere un risultato alla portata di molte realtà.
Nello specifico delle biomasse, quali potrebbero essere gli scenari (realistici) di sviluppo?
**Secondo quanto stabilito dalla direttiva 2009/28/CE, nel 2020 l’Italia dovrà coprire il 17 per cento dei consumi finali di energia mediante fonti rinnovabili. Prendendo a riferimento lo scenario efficiente, questo significa che nel 2020 il consumo finale di energie rinnovabili dovrà attestarsi a 22,62 Mtep.
In tale contesto il nostro Paese, nel Piano di azione nazionale sulle energie rinnovabili (PAN), ha attribuito alle biomasse un ruolo strategico, stabilendo che la produzione di energia da questa fonte dovrà aumentare da 2,2 a 9,8 Mtep entro il 2020. Un aumento di 7,6 Mtep rappresenta praticamente la metà dell’energia da fonti rinnovabili che l’Italia dovrà produrre in più da qui a meno di dieci anni.
Il solo comparto agricolo può fornire, tramite l’energia da biomasse, almeno 3 dei 17 punti percentuali richiesti all’Italia dalla Direttiva 20-20-20. È evidente però che le previsioni potranno essere rispettate solo a condizione che ci siano un assetto normativo stabile e meccanismi di incentivazione adeguati e certi.
La competitività di un sistema Paese dipende anche dal miglioramento delle infrastrutture viarie: strade, ferrovie, ponti... Come conciliare l’esigenza di un ammodernamento delle attuali dotazioni con la necessità di preservare il territorio e le sue specificità?
**Abbiamo territori dove effettivamente l’ampliamento delle reti infrastrutturali di trasporto ha messo a rischio la potenzialità della produzione agricola. La superficie sottratta è stata tanta e forse si poteva far meglio. La pianificazione territoriale deve tornare ad essere uno strumento centrale delle scelte politiche; ma ci deve essere la consapevolezza del valore dell’attività agricola per il territorio. Un valore che va preso in giusta considerazione quando si decide la convenienza di un investimento. Anche sul fronte occupazionale. Nel 2010 la manodopera in agricoltura è aumentata del 3,3 per cento a fronte di un calo complessivo degli occupati italiani dell’1 per cento. L’agricoltura è l’unico settore produttivo in cui – nonostante la crisi economica e il calo delle imprese – cresce il numero degli occupati. E nonostante i tanti ostacoli e i costi occulti e meno occulti a carico delle aziende stesse. Si dovrà pur tenere conto di questo contributo quando si deciderà il futuro di un territorio… Qui non si tratta solo di preservare la specificità, ma di salvaguardare il ruolo del settore agricolo per l’economia e l’occupazione.
Il chilometro zero non rischia di essere un’arma a doppio taglio? L’opportunità di promuovere in ambito locale il consumo di produzioni regionali, potrebbe trasformarsi in un autogol in termini di export?
**Confagricoltura non crede che esista un modello vincente per l’agricoltura italiana rispetto al quale gli altri siano perdenti. Non ci può essere chi sceglie dall’alto per tutti; a scegliere deve essere sempre e soltanto l’imprenditore. La politica deve creare invece i presupposti perché le imprese operino scegliendo la strada che è loro più congeniale. Poi vincerà chi ha saputo operare con più lungimiranza e abilità imprenditoriale; chi ha più capacità e più talento. Questo dovrebbe accadere in un mercato ben governato da regole.
In questo senso la filiera corta o la vendita diretta (intesa anche come spaccio aziendale, commercio elettronico e non solo come farmers’ market) è una delle tante strategie che le imprese possono perseguire. Così come sono interessanti anche le strategie rivolte alla grande distribuzione o ai mercati esteri. Non siamo pregiudizialmente a favore o contro questo o quel modo di fare agricoltura e di vendere il prodotto. Siamo per l’impresa. Ci sono tanti modi per emergere e avere successo e sta alle imprese scegliere. Non alla politica, che dovrebbe preoccuparsi solamente di creare il contesto migliore in cui le imprese operano. Quale che sia la strada che fa ricca l’agricoltura italiana, dagli spacci dedicati a chilometro zero ai mercati globali, per noi sarà sempre la strada giusta.
Questione acqua. Soprattutto con l’avvento della stagione calda il problema sembra tornare di attualità. Esiste una concorrenza tra le esigenze del settore agricolo e gli altri impieghi (compreso quello per la generazione idroelettrica). Come valuta la situazione attuale del territorio italiano? Cosa risponde a chi pensa che l’agricoltura italiana sia un po’ inefficiente e dispersiva proprio sul versante acqua?
**Innanzitutto va sottolineato che l’acqua rappresenta per il settore agricolo forse il più importante fattore di competitività. La possibilità di irrigare e la qualità del servizio irriguo costituiscono fattori di sviluppo fondamentali. Quasi il 50 per cento della produzione agricola si avvale dell’irrigazione; i 2/3 delle esportazioni di prodotti agricoli provengono da colture irrigue. La maggior parte delle DOP, IGP, eccetera possono essere prodotte solo con l’ausilio dell’acqua: dalla disponibilità irrigua dipende l’84 per cento del Made in Italy agroalimentare. L’irrigazione pertanto non è solo importante in termini quantitativi.
Infatti, ha un ruolo chiave nel garantire la qualità della produzione ed è, pertanto, un elemento basilare della strategia complessiva dell’agricoltura italiana.
Per tali motivi negli ultimi anni è stata dedicata molta attenzione da parte del sistema irriguo al risparmio dell’acqua: grazie all’innovazione tecnologica e al miglioramento delle pratiche agronomiche, è notevolmente diminuito l’utilizzo della risorsa idrica. Poi occorre sempre ricordare che l’acqua in agricoltura viene usata e non consumata; difatti viene restituita integra allo stesso ambiente dal quale viene prelevata, e va ad incrementare le acque sotterranee e superficiali.
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Trentamila litri di gasolio: ecco il pieno annuale di un trattore (300 CV)
Ventimila litri di gasolio possono sembrare un quantitativo enorme e, in effetti, lo sono. È l’equivalente di un’autobotte ricolma fino all’orlo! Eppure questo pieno potrebbe non bastare a garantire il fabbisogno annuale di un trattore al top di gamma. I consumi di punta di un mezzo di alta cilindrata (sopra i 300 cavalli) possono raggiungere il litro al minuto. In campo aperto, con l’alternarsi di lavorazioni più o meno impegnative e con i tempi morti per le svolte a fine campo, le stesse case costruttrici valutano un fabbisogno tra i 35 e i 45 litri/ora. Un mezzo di questa tipologia, nel contesto italiano, ha un impiego medio di 500 ore l’anno. Si fa presto, dunque, ad arrivare a 20 mila litri.
Ma non è tutto. Queste macchine non sono utilizzate solo per le lavorazioni del terreno ma anche come mezzi di trasporto o di traino. Secondo gli esperti del settore meccanizzazione, in questo caso i consumi scendono attorno ai 25 litri/ ora per un impiego medio di 500 ore l’anno che si aggiungono alle precedenti. E fanno altri 10 mila litri! Totale, 30 mila litri, senza neppure strafare. Questo, per quanto riguardo le Ferrari del trattore. non si pensi, però, che le city car siano enormemente più risparmiose. Per un trattore di piccole/ medie dimensioni, usato solo in campo come mezzo da lavoro, il parametro di riferimento è quello di 15 litri l’ora con almeno 600 ore l’anno di utilizzo (per poter ammortizzare la macchina). Nove mila litri/anno sembrano, dunque, il minimo sindacale per poter alimentare un mezzo agricolo a quattro ruote.
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Sfide future?
**Sicuramente l’uso plurimo delle acque su cui i diversi settori - agricolo, civile, industriale, energetico, turistico - dovranno trovare sempre migliori sinergie con l’obiettivo di tutelare l’ambiente e la preziosa risorsa che è l’acqua. In questa direzione sono già stati raggiunti risultati importanti, come nel bacino del Po.
I cambiamenti climatici in atto, in uno scenario di medio e lungo periodo, sembrano mettere a rischio qualche punto di forza dell’agricoltura italiana, rendendo più vulnerabili alcune delle nostre produzioni storiche...
**Gli effetti dei cambiamenti climatici sono sempre più visibili, come dimostrano i grandi periodi di siccità o le precipitazioni intense concentrate in brevi periodi che, oltre a non riuscire ad alimentare la falda, creano problemi di dissesto idrogeologico.
Data la forte correlazione con il clima, la lotta (per quanto possibile) e l’adattamento a questi mutamenti rappresentano alcune tra le maggiori sfide future del settore. Il ruolo dell’agricoltura rispetto a questo tema è molteplice: infatti mentre da una parte contribuisce, come ogni settore produttivo, alle emissioni in atmosfera, dall’altra è l’unico in grado di sequestrare rilevanti quantità di anidride carbonica tramite le proprie attività e anche quello che più di tutti risente dei cambiamenti climatici.
Studi recenti hanno calcolato che il settore primario è responsabile del 6,6 per cento delle emissioni di gas serra in Italia. Ma per avere il polso della situazione, è importante leggere questo dato insieme a quello relativo alla riduzione delle emissioni del comparto agricolo nel periodo compreso tra il 1990 e il 2008, che è stata dell’11,6 per cento in Italia e del 20 per cento nell’Europa a 27. Dunque, l’agricoltura ha già contributo notevolmente al contenimento delle emissioni.
In tale ambito va ricordato anche il ruolo svolto dalla silvicoltura. L’Onu ha proclamato il 2011 Anno Internazionale delle Foreste, per sostenere l’impegno di favorire la gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste di tutto il mondo. È ormai ampiamente riconosciuto il ruolo polifunzionale svolto dalle foreste, che non si limita più alla sola funzione produttiva ma anche alla mitigazione dei cambiamenti climatici, alla salvaguardia della biodiversità, alla depurazione e regimazione delle risorse idriche, all’emissione di ossigeno e assorbimento di CO2, alla limitazione dei processi di erosione e desertificazione dei suoli.
Alla luce di queste considerazioni, qual è la posizione di Confagricoltura?
**Riteniamo di fondamentale importanza prevedere misure concrete volte al controllo dei cambiamenti climatici e, al fine di fronteggiare anche la maggiore domanda alimentare, bisognerà ricorrere ad azioni coerenti e coordinate a livello sia nazionale sia internazionale, mirate ad aumentare la resilienza del settore, l’accesso alle risorse e la formazione degli operatori, facendo però molta attenzione ad evitare che le politiche di contenimento dei cambiamenti climatici incidano negativamente sulla competitività delle aziende agricole europee, favorendo Paesi meno sensibili dal punto di vista della salute e dell’ambiente.
Qual è a suo avviso l’identikit dell’imprenditore agricolo del XXI secolo... tenendo anche conto delle tante sfide che lo attendono e delle quali abbiamo parlato in queste pagine?
**Un imprenditore attento al contesto in cui opera, che gestisce in maniera sostenibile le risorse naturali a lui affidate e che le restituisce alla collettività ogni giorno più ricche e fruibili. Un imprenditore che avvicina, in questo senso, la campagna alla città. E poi un operatore dei mercati globali, che segue gli andamenti delle quotazioni sulle Borse internazionali e che sa essere flessibile nelle scelte aziendali per andare incontro alla domanda; ma che sa anche far emergere i bisogni ancora latenti nei consumatori con appropriate azioni di marketing.
Il tutto con l’apporto delle nuove tecnologie e dell’innovazione nonché operando in rete, coinvolgendo tutti i protagonisti economici del settore, le associazioni, le istituzioni e gli enti, compresi quelli della ricerca. Così da essere competitivo. È l’imprenditore agricolo che sa conquistare nuove quote di mercato e mantenere quelle che già detiene. Obiettivo da sempre – non solo nel XXI secolo – di tutte le attività economiche.
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Nella stalla 160 mucche consumano tanti kWh quanto 45 famiglie
Ma quanta energia c’è in un litro di latte, non in termini di calorie ma di kWh? Molta, molta più di quanto ci si possa attendere. Prendiamo un caso concreto: la Fratelli Fiocchi di Cascina Chiarello, una media azienda – per gli standard italiani – posizionata nella prima lomellina. La stalla ha 160 vacche in mungitura e altri 190 capi di varia pezzatura (dal vitellino appena nato al toro). Occupa, nel complesso, tre capannoni, per una superficie di oltre 2.000 metri quadrati, più un piccolo capannone adibito a sala parto e ospedale (200 metri quadrati). La produzione annua di latte è dell’ordine dei 13.200 quintali.
L’energia elettrica è utilizzata per l’illuminazione della stalla (con punte di consumo invernali), per l’alimentazione della sala mungitura e del frigorifero (con recupero di calore, utilizzato poi per riscaldare l’acqua impiegata nel lavaggio della sala di mungitura), per i raschiatori (pale da 2 metri e 50, disposte tra le cuccette e la corsia di alimentazione, che portano all’esterno il letame), per le pompe di distribuzione dell’acqua depurata, per il funzionamento del depuratore. D’estate si aggiunge anche il fabbisogno energetico di cinque ventilatori – utilizzati per soffiare al di fuori della stalla le esalazioni del letame (ammoniaca) e per muovere l’aria – e di otto grandi apparecchi mangia zanzare. La distribuzione del mangime avviene, invece, con un carro miscelatore a gasolio: pur trattandosi di un Euro 5, quindi di una macchina di ultima generazione, si beve i suoi 1.000 litri al mese in media.
Insomma, a consuntivo, solo il funzionamento della stalla genera una bolletta annua di circa 22 mila euro, per un consumo stimabile in 120.000 kWh (con punte ad agosto di oltre 11.200 kWh). Quanti, più o meno, ne assorbe un condominio di 45 famiglie.
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Passiamo a una visione globale dell’agricoltura mondiale. La speculazione finanziaria sembra ormai colpire non solo il settore petrolifero ma anche quello delle derrate alimentari. Quali possibili antidoti?
**Intanto non attribuirei tutto alla speculazione: termine con un’accezione piuttosto negativa. Oggi, in maniera del tutto lecita, c’è chi è attivo sui mercati finanziari e guadagna su questo tipo di operazioni. Se il prezzo sale si grida allo scandalo, ma in realtà nessuno ricorda quando il prezzo improvvisamente crolla come è già accaduto ad esempio nel 2009. Tutti parlano dei record dei cereali oggi, quando effettivamente il prezzo è aumentato rispetto a febbraio del 2010 di oltre il 70 per cento, ma nessuno ricorda che allora le quotazioni erano al livello del 2000, cioè di ben dieci anni prima.
Se si riflette su queste cifre si concluderà che il problema non è tanto la speculazione quanto piuttosto la volatilità dei prezzi, influenzata dalle operazioni finanziarie ma principalmente dall’andamento climatico e dai costi di produzione, a loro volta proprio collegati ai listini petroliferi.
Quali i rimedi a questa situazione?
**Ci siamo accorti che ci occorre più stabilità nei prezzi proprio quando abbiamo smantellato tutta la strumentazione per intervenire sui mercati agricoli. In Europa, con le successive riforme della PAC; ma anche nel mondo, con gli accordi multilaterali sul commercio che hanno spinto in questa direzione riducendo o modificando le misure di mercato (oltre la protezione alle frontiere, l’Europa ha eliminato gli incentivi all’export e praticamente tutti i pagamenti diretti a favore di specifiche produzioni).
Non stupisce che ci sia una pausa di riflessione a Ginevra che dura da tanti, troppi anni. Forse si sta riflettendo sul fatto che questa liberalizzazione degli scambi, così com’è non va. Crea instabilità e necessita di più regole, non di deregulation. Certo, non si tratta ora di tornare al passato ad una strumentazione che ormai ha fatto il suo tempo (interventi, ammassi, prezzi minimi garantiti eccetera). Bisogna piuttosto aggiornare questa “cassetta degli attrezzi” per favorire la produttività (uno degli obiettivi del millennio è cibo sufficiente per tutti), garantendo al contempo stabilità dei prezzi e quindi dei redditi degli agricoltori.
Un’idea da utilizzare è senz’altro quella delle assicurazioni al reddito proposta nelle linee guida della Commissione europea per la riforma del post 2013. Ma poi ci sono anche le politiche per l’aggregazione del prodotto, per una migliore contrattualizzazione dei rapporti tra gli operatori dei mercati, per la trasparenza agli occhi dei consumatori, che devono sapere cosa consumano anche riguardo le tecniche di produzione utilizzate nelle varie parti del mondo.
Se riusciremo a varare una riforma in tal senso, probabilmente la volatilità sarà un ricordo; e non perché avremmo sconfitto la speculazione, ma perché potremo contare su un mercato più ordinato e con mutui vantaggi: per i produttori, per i trasformatori e per i consumatori.
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