di Carlo Andrea Bollino
Alla prestigiosa conferenza annuale della American Economic Association del gennaio 2011 ho ascoltato Janette Yellen, vicepresidente della Fed, affermare: La politica monetaria della Fed continua ad essere impegnata a far aumentare le aspettative inflazionistiche. Cosa che già era nota nel dibattito Usa sin dall’autunno scorso.
Infatti, con la minaccia ormai evidente della trappola della liquidità in cui si trova l’economia Usa, con i tassi di interesse vicino allo zero, non vi è possibilità di far crescere l’economia con gli usuali strumenti di politica economica. Il ragionamento si basa sulla considerazione che con un livello di aspettative inflazionistiche, diciamo del 3 per cento, il tasso reale di interesse sarebbe meno 2,5 per cento, e questo tasso reale potrebbe far aumentare l’attività economica in maniera significativa. Come? Convincendo i consumatori a spendere, prima che i prezzi salgano.
In effetti, anche noi in Italia abbiamo avuto tassi reali significativamente negativi, alla metà degli anni ‘70 e anche allora il sistema economico italiano non fu insensibile a questi livelli di tasso di interesse (vi risparmio una ripetizione tediosa delle statistiche di quel periodo). Ora, però, si prevede che l’economia statunitense cresca a un tasso vicino al 3 per cento nel primo trimestre 2011 e rallenti al 2 per cento successivamente. L’effetto delle news geopolitiche può far lievitare i tassi di interesse, riducendo nuovamente i tassi reali.
Dunque, si pone il problema di come mantenere vivo lo stimolo all’economia, esercitato dai tassi reali negativi. Si potrebbe chiedere consiglio agli esperti delle Banche centrali europee o dei Ministeri economici dell’UE su come fare.
Ma, purtroppo, l’esperienza europea non aiuterebbe: il consensus in Europa è appiattito sulla visione tedesca che, ricordiamo, produsse il ridicolo episodio di aumento dei tassi di interesse da parte della BCE nell’estate 2008, cioè con la crisi Lehman ormai alle porte. [...]
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