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IL GIORNALIERO - Contrastare i cambiamenti climatici, il ruolo dell’efficienza energetica Stampa E-mail

29 novembre 2010 - Le probabilità di stipulare un trattato globale sui cambiamenti climatici, quest’anno a Cancun, non sembrano superiori rispetto all’anno scorso a Copenhagen. Per la maggioranza dei Paesi, misure aggressive volte all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica rischiano di compromettere lo sviluppo delle economie nazionali. I mercati emergenti, in particolare, ritengono che l’onere di ridurre le emissioni dovrebbe pesare sui primi responsabili del fenomeno (ossia le economie mature), che a loro volta sottolineano come eventuali accordi vincolanti non universali si tradurrebbero in un notevole svantaggio competitivo per i Paesi interessati. Le tesi sono entrambe valide, ma il mancato raggiungimento di un compromesso sta conducendo a una situazione di impasse.
La buona notizia è che, a dispetto delle difficoltà, gli investimenti nelle energie rinnovabili a emissioni zero si stanno moltiplicando. Nel 2009, il 62 per cento della nuova potenza installata nell’UE proveniva da fonti rinnovabili, così come più del 50 per cento della nuova potenza dispiegata negli Stati Uniti, mentre la Cina ha installato ben 37 GW di capacità rinnovabile, più di ogni altro Paese del mondo. Lo scorso anno, sono stati installati complessivamente 80 GW di potenza rinnovabile a livello globale - l’equivalente dell’energia necessaria a soddisfare il fabbisogno di 43 milioni di famiglie europee.
Per quanto possa sembrare incoraggiante, tuttavia, questo dato non è sufficiente. Energia eolica, solare, idroelettrica e le altre fonti rinnovabili non combustibili coprono solo il 4 per cento della fornitura elettrica mondiale: l’80 per cento deriva dai combustibili fossili, principale sorgente di CO2.
Secondo l’International Energy Agency, nonostante gli attuali tassi d’investimento e le politiche per la promozione delle energie rinnovabili, l’aumento del fabbisogno energetico mondiale previsto entro il 2050 continuerà a rendere inevitabile la dipendenza dai combustibili fossili, innalzando così le emissioni di CO2 di 2,5 volte rispetto ai livelli correnti.
Di fronte all’emergenza dei cambiamenti climatici, le maggiori possibilità di ridurre sensibilmente le emissioni le abbiamo nell’uso efficiente dell’energia. Stando alle proiezioni della IEA per i prossimi 20 anni, infatti, sfruttare l’energia in modo razionale ha più potenziale di limitazione delle emissioni di CO2 di tutte le altre opzioni messe insieme. Inoltre, le ricerche condotte da McKinsey dimostrano che molte delle tecnologie già esistenti - fra cui materiali isolanti per l’edilizia, nuovi apparecchi di illuminazione, motori ad alta efficienza e drives - potrebbero far risparmiare una quantità di energia tale da ammortizzare i costi in meno di due anni e mezzo.

Joe HOgan, CEO di ABB

Le economie che sapranno cogliere i benefici di queste soluzioni tecnologiche a portata di mano raggiungeranno contemporaneamente tre obiettivi: incrementare la disponibilità di energia senza implementare infrastrutture aggiuntive, ridurre le emissioni e tagliare i costi. Che cosa dunque impedisce la diffusione di tali tecnologie?
La prima barriera è rappresentata dal costo dell’energia. In un’indagine per conto di ABB, leader e professionisti del settore energetico hanno dichiarato che l’energia è troppo economica per rendere l’efficienza energetica un’alternativa allettante.
Un’ulteriore barriera, generalmente legata più alle economie mature che a quelle emergenti, è la resistenza a sostenere i costi iniziali per ammodernare gli impianti esistenti o per installare nuove tecnologie prima che quelle già in uso abbiano raggiunto il termine del ciclo di vita utile.
L’economia con il tasso di risparmio energetico più elevato al mondo, il Giappone, può fornirci alcune preziose indicazioni su come superare questi ostacoli. Innanzitutto, l’esperienza giapponese mostra come il ruolo del Governo sia cruciale in questo ambito.
Una combinazione di standard, incentivi, imposte, etichette e obiettivi vincolanti perseguiti sistematicamente a partire dagli anni '70, ha portato la produttività del settore energetico giapponese a valori quasi doppi rispetto agli Stati Uniti. Prendendo in considerazione la stessa quantità di energia utilizzata, il Giappone ottiene 2 dollari di PIL per ogni dollaro generato negli Stati Uniti - un’efficienza vitale per il Paese asiatico, data la scarsità di fonti energetiche interne.
Una delle chiavi di questo successo è rappresentata dalla cooperazione fra Governo ed imprese per stabilire di comune accordo le misure da intraprendere. Lavorando insieme, hanno creato quel quadro di riferimento stabile di cui le aziende hanno bisogno per investire. Il programma giapponese Top Runner ne è un ottimo esempio: in questo schema volontario, il prodotto più efficiente sul mercato diventa il punto di riferimento per tutti i concorrenti del segmento, che devono raggiungere il medesimo livello di funzionalità entro un arco di tempo prestabilito – pena il rischio di vedere l’immagine dell’azienda screditata per non aver raggiunto quegli obiettivi.
Sebbene un trattato globale sul clima sia senza dubbio desiderabile, Cancun non è l’unica né l’ultima ancora di salvezza. I Governi possono e devono adoperarsi per cogliere tutte le opportunità a loro disposizione, puntando a diminuire costi ed emissioni e ad aumentare la competitività delle proprie economie nell’ambito di questo processo. La via da percorrere è irta di ostacoli e se durante il summit non dovesse emergere una visione comune, sarà necessario mettere a punto soluzioni alternative per raggiungere il traguardo.

Joe Hogan, CEO di ABB

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