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IL GIORNALIERO - Per il nucleare di piccola taglia un possibile futuro a ritmo di reggae Stampa E-mail

9 agosto 2010 - Ci sono due dati che danno una misura dell’anomalia energetica della Giamaica. Attualmente il 95 per cento della generazione elettrica dell’isola è garantito da combustibili fossili liquidi di importazione; inoltre, la capacità complessiva installata è pari a soli 779 MW. In un futuro di medio e lungo termine potrebbe però aggiungersi alla lista una terza peculiarità. Il ricorso massiccio al nucleare di piccola taglia.
Secondo le proiezioni dell’Office of Utilities Regulation nel 2028 la domanda complessiva della Giamaica, pur lievitata sensibilmente rispetto ad oggi, sarà comunque al di sotto dei 1.600 MW. Impossibile, quindi, pensare all’integrazione nel sistema di generazione attuale di un impianto nucleare standard di grandi dimensioni.
L’ipotesi è quella di ricorrere a soluzioni modulari di minori dimensioni, nell’ordine dei 10 MW, senza alcuna turbativa per la rete attuale e con il vantaggio aggiuntivo di poter diventare operative nel giro di soli due o tre anni. Fantascienza? Parrebbe di no. L’obiettivo è quello di portare sulla terraferma unità analoghe a quelle che alimentano ormai da alcuni decenni portaerei (come quella americana che ha offerto i primi aiuti ad Haiti, equipaggiata con due motori atomici) sottomarini, rompighiaccio... L’adattamento ad un utilizzo statico, con alcuni specifici accorgimenti (primo fra tutti, la resistenza antisismica) e la possibilità di operare anche mezzo secolo senza bisogno di un refuelling si pone ora come una soluzione più che appetibile.
Lo stesso segretario del dipartimento americano per l’energia, Steven Chu, avrebbe recentemente parlato di questi reattori di piccola taglia come di una delle “più promettenti aree di sviluppo dell’industria nucleare civile”.

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