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PAUSA-ENERGIA
 
È un’inspiegabile, tranquilla stabilità da godere per tutta l’estate Stampa E-mail

a cura di Drilling


Si continua a parlare di calo dei consumi e della domanda petrolifera, di una ragionevole politica di produzione da parte dei Paesi OPEC, ma non si vedono segni di cedimento del prezzo del petrolio. L’unica vera sorpresa fino ai primi giorni di luglio, paradossalmente, è l’assenza di impennate del prezzo, almeno fino ad oggi. Per cercare di capire cosa sta succedendo, occorre partire dallo stato delle politiche finanziarie delle grandi banche mondiali.
Al di là delle dichiarazioni politiche, nell’ambiente finanziario prevalgono ancora la paura e l’attesa: si naviga a vista, con la piena consapevolezza che per l’economia mondiale non ci sono ancora certezze sui tempi e sulle prospettive di soluzione.
Uno dei top manager della City di Londra mi confessava che il problema delle banche, in questo momento, è dove conservare il denaro proteggendolo dalle violente fluttuazioni dei mercati.
Come ormai da anni, uno dei rifugi è costituito dal mercato dei future petroliferi, dove continuano ad affluire masse enormi di capitali finanziari, che hanno contribuito a tenere alta la domanda di petrolio di carta (paper) e quindi a sostenerne il prezzo anche in un momento di recessione economica.

Ovviamente, i trader della finanza petrolifera gestiscono i capitali investiti secondo logiche puramente speculative e riducendo al massimo i loro rischi. Sulla base delle analisi tecniche (traduzione statistica dei luoghi comuni condivisi dai vari protagonisti del settore), la guideline per questi trader è: sotto i 70 dollari/barile si compra, sopra i 75 dollari/barile si incomincia a vendere. Ciò che succede sui mercati reali (consumi, produzioni, stoccaggi) rappresenta soltanto un corollario estetico delle loro decisioni.

Il livello delle speculazioni è tornato ad essere altissimo, nettamente superiore a quello precedente il grande crollo del 2008. In Borsa, lungi dal vedere nuove regole (e meno che mai principi etici), continuano a verificarsi episodi sconcertanti. È delle scorse settimane quello di un trader che ha creato distorsioni fortissime del mercato, avendo effettuato operazioni speculative per oltre un miliardo di dollari in meno di due ore. Messo sotto inchiesta dall’organismo di controllo, per scagionare la compagnia per cui lavorava ha dichiarato di aver operato on-line, subito dopo un pranzo di lavoro e sotto l’effetto dell’alcol, senza rendersi conto di cosa stava facendo!

Il grafico del Brent riflette queste logiche di mercato. In pratica, si vede chiaramente come la linea dei prezzi oscilli ormai da un anno nell’intervallo 65-75 dollari/ barile e come i valori si siano allineati a quelli di un anno fa, quando si uscì dai postumi del grande crollo di fine 2008. Il petrolio non è, tuttavia, l’unico rifugio. L’alto livello di speculazione e le troppe notizie sui processi recessivi hanno rilanciato fortemente il mercato dell’oro, meno liquido e flessibile, ma storicamente più sicuro.

Questa alternativa negli investimenti finanziari ha fatto mancare al mercato del Brent quella spinta tipica del mese di luglio, che avrebbe potuto tradursi in un rialzo dei prezzi al di sopra dei 100 dollari/barile. Il gioco delle valute, altro mercato che di recente ha assorbito grandi masse monetarie, è stato il secondo elemento che ha rallentato la corsa dei prezzi del petrolio.

Nel frattempo la tensione stagionale delle benzine americane si sta manifestando nella sua pienezza, ed è significativo osservare come la trasformazione della qualità delle importazioni americane proceda ormai lungo la direttrice da me descritta già altre volte: un chiaro declino delle importazioni di benzine tradizionali da circa 600 mila barili/giorni a poco più di 100 mila barili/giorno, mentre continua la crescita delle importazioni di componenti di alta qualità, dai 200 mila barili/giorno del 2000 agli oltre 770 mila di questi mesi. Si tratta di un forte sostegno a quel segmento della raffinazione europea (è il caso dei raffinatori di Rotterdam) che ha saputo investire e continuare ad esportare verso il mercato americano questi componenti di qualità.
Certe analisi dei raffinatori del Mediterraneo andrebbero rilette alla luce di questi dati. Si capirebbero meglio le ragioni della crisi di alcuni impianti industriali.



Un’ultima osservazione sugli sviluppi del mercato va fatta sui processi che riguardano la politica energetica della Cina.

Lentamente, le importazioni cinesi di petrolio dall’Africa stanno raggiungendo quote significative. Nel 2009 hanno superato il 30 per cento. I dati sono ancora più impressionanti se si considera che molti dei barili importati dalla Cina non sono più il frutto di acquisti commerciali, ma il ritorno di investimenti upstream effettuati nel corso degli ultimi quindici anni in giro per il mondo.
Ovviamente dai grafici pubblicati emergono i dati relativi a ciò che è già realizzato e ha già un peso nella statistica delle importazioni. Le compagnie cinesi sono oggi coinvolte in una serie di partecipazioni in investimenti di ricerca e produzione di idrocarburi presso i principali Paesi produttori.

I risultati di questi investimenti diverranno visibili e significativi durante il prossimo decennio. Si tratta di ingredienti dello scenario sparsi qua e là, che non costituiscono ancora un sistema nel puzzle finale del mercato petrolifero internazione, ma sono in grado di innescare in qualsiasi momento una svolta drammatica al sistema dei prezzi in ogni direzione. Viviamo insomma un momento di inspiegabile, tranquilla stabilità. Speriamo di godercela almeno per tutta l’estate.



 
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